SE PECHINO DÀ UNA MANO A TRUMP
Dopo il girotondo in Siria (ora c’è l’invio di forze fresche a protezione dei pozzi petroliferi), Donald Trump ha più che mai bisogno di conseguire un successo internazionale prima delle elezioni presidenziali. L’accordo che può consentirgli di riportare a casa il maggior numero di boys, a conti fatti, è ancora quello con i talebani in Afghanistan, affondato in settembre perché un soldato Usa era morto in un attentato (ma anche perché il presidente voleva organizzare un grande annuncio a Camp David respinto sia da Kabul sia dai talebani). Non sorprende perciò che un abboccamento tra Usa e talebani abbia avuto luogo in Pakistan, e nemmeno che il capo del Pentagono si sia recato a Kabul. Ma molti sono caduti dalla sedia quando si è saputo che la Cina sta preparando un incontro a Pechino tra il governo afghano e i talebani. Proprio il dialogo inter-afghano era stato il punto debole dell’intesa che l’ambasciatore Khalilzad aveva raggiunto con i talebani a settembre, perché costoro non riconoscevano il governo di Ghani e quest’ultimo pretendeva che non fossero soltanto gli americani a negoziare con il nemico comune. L’iniziativa di Pechino prevede ora rappresentanti governativi «a titolo personale», e di fornire nuove garanzie ai talebani su un accordo di pace. Pechino non ha fissato una data, perché la diplomazia cinese attende di vedere come uscirà la comunità internazionale dalla trappola delle elezioni afghane che dopo un mese e mezzo non hanno ancora un vincitore e hanno, questo sì, innumerevoli testimonianze di brogli. I talebani aspettano, e non rinunciano a fare stragi con i loro attentati. Trump è tra due fuochi: mantenere la linea dura del doposettembre e non ritirarsi (imitato dagli alleati, italiani compresi), oppure dimenticare il passato e riprendere il dialogo con i talebani. Sarà forse la Cina a toglierlo dall’imbarazzo. Un compromesso sui dazi vale questo e altro.