Corriere della Sera

IL DECLINO DEI PIEMONTESI I PIÙ DENIGRATI D’ITALIA

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Caro Aldo, nella mappa del reddito pubblicata sul Corriere balza all’occhio l’inspiegabi­le rosa del Piemonte stretto in una morsa di verde (Lombardia, Emilia Romagna, Liguria, Valle d’aosta). Possibile mai che i tentacoli di queste regioni al top della ricchezza europea non lo abbiano fagocitato? Sarebbe interessan­te sapere perché è la pecora nera del nostro Nord. Lei è piemontese, scrisse in un suo libro che il Piemonte fece l’italia due volte, lanciò l’appello «sveglia Piemonte!». Che ne dice? Alessandro Prandi Caro Alessandro,

Anch’io sono rimasto dolorosame­nte colpito nel vedere che il Piemonte, secondo le statistich­e europee, è la Regione più povera del Nord Italia. Alcune aree un tempo contadine, come la dileggiata provincia di Cuneo, sono cresciute molto in questi anni, grazie a grandi aziende come la Ferrero e al turismo. Le aree tradiziona­lmente industrial­i, dal Biellese del tessile al Canavese dell’olivetti, sono quelle che hanno sofferto di più. Ma è evidente che al Piemonte manca soprattutt­o il ruolo egemone, dal punto di vista economico e anche culturale, di Torino.

Ovviamente la Fiat — che aveva in città ventidue stabilimen­ti, senza considerar­e l’indotto — non ha più il peso di un tempo; e non si sostituisc­e la più grande fabbrica europea di automobili con il Salone del Libro o del Gusto. La città aveva avuto un sussulto di orgoglio all’inizio del nuovo secolo; ora è di nuovo ferma. Ma la decadenza di Torino e della sua regione non è solo una questione di soldi.

Il Piemonte è uno Stato da mille anni. Diede il sangue per fare l’italia, scendendo in campo a volte da solo contro la più grande potenza d’europa. A San Martino perse duemila uomini in un giorno; fatte le proporzion­i, sarebbe come se oggi cadessero in battaglia 60 mila soldati italiani; eppure Vittorio Emanuele II fu accolto con entusiasmo dai superstiti, perché Custoza e Novara erano state vendicate; e i torinesi fischiaron­o Napoleone III di passaggio in città dopo l’armistizio di Villafranc­a, perché volevano continuare a combattere. Ma se lei, caro Mario, raccontass­e in una scuola di Torino questa storia, la guarderebb­ero con stupore.

In questi anni i piemontesi — con rare eccezioni — hanno lasciato che tutto quello che i loro antenati hanno fatto di nobile e coraggioso, dal Risorgimen­to alla Resistenza alla nostra rivoluzion­e industrial­e, venisse calunniato, denigrato, umiliato. E quando un popolo non sa più chi è, non capeggia più le classifich­e; finisce in coda.

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