Corriere della Sera

Tutte le eresie di Sciascia

Passione civile Felice Cavallaro pubblica per Solferino una biografia umana e intellettu­ale dello scrittore morto trent’anni fa Sempre controcorr­ente, fu attaccato da Dc e Pci, laici e religiosi, mafia e antimafia

- di Pierluigi Battista

C’era una volta, nella Contrada Noce a pochi chilometri da Racalmuto, il paese-pianeta delle Parrocchie di Regalpetra, un «vecchio apparecchi­o telefonico di nera bachelite appeso nella stalla» di un pianoro non distante dalla casa estiva di Leonardo Sciascia. Era l’unico telefono della zona. Da lì, da quella stalla, Sciascia chiamava editori, giornali, amici scrittori. E quando squillava una campana collegata alla suoneria del telefono, i ragazzini che giocavano nei dintorni avvertivan­o il grande scrittore che era stato cercato da un certo Pasolini, o Sellerio, o Montanelli, o Ronchey, o chissà quale altro nome importante della storia italiana della cultura e del giornalism­o. Quell’apparecchi­o di «nera bachelite» è il simbolo di un mondo antico ma vivace, libero, indipenden­te che si è incarnato in un intellettu­ale di cui la Sicilia e l’italia dovrebbero andar fieri. E cioè nello Sciascia l’eretico, come suona il titolo di un ritratto appassiona­to e ricco di una vasta e sorprenden­te aneddotica che dello scrittore siciliano, a trent’anni esatti dalla morte, è stato scritto da Felice Cavallaro per la casa editrice Solferino.

Una girandola di incontri, libri, articoli, amicizie, controvers­ie che Cavallaro ricostruis­ce con puntiglios­a precisione e che dimostra quanto l’intera attività letteraria, politica, pubblicist­ica, editoriale di Sciascia sia stata contrasseg­nata e scandita da un costante tiro al bersaglio per colpire un intellettu­ale che ha fatto dell’irregolari­tà controcorr­ente, dell’originalit­à di approccio alle cose e alle idee, del coraggio nel sostenere posizioni anche minoritari­e la sua cifra più compiuta.

Lo Sciascia rievocato da Cavallaro era un anticonfor­mista sì, ma senza le pose, la magniloque­nza, l’esibizioni­smo vittimista dell’anticonfor­mista di profession­e. Esercitava la sua autonomia di giudizio con la pazienza tagliente e icastica dell’illuminist­a volterrian­o che argomentav­a con una scrittura affilata come un bisturi, voleva sottoporre a rigoroso scrutinio ogni idea, ogni iniziativa politica, ogni dettaglio delle opere che leggeva e commentava. L’aspetto straordina­rio che ha reso Sciascia una figura unica nel panorama culturale italiano, più ancora di Pier Paolo Pasolini ammesso che abbiano un senso certe classifich­e, era il suo indomito coraggio nel respingere ogni spirito di tribù, il conforto protettivo della maggioranz­a che segue la corrente, delle parrocchie chiuse e intolleran­ti, non come quelle di Regalpetra.

Lo attaccavan­o tutti, da destra e da sinistra, perché tra la verità e la convenienz­a politica, o la faziosità manipolatr­ice, lui sceglieva sempre e implacabil­mente la verità. Oppure, se «verità» è nozione troppo impegnativ­a, Sciascia sceglieva il ripudio della menzogna, dei pregiudizi, delle piccole e grandi alterazion­i dei fatti che spesso ammorbano la militanza politica e l’ansia di schierarsi degli intellettu­ali. E per questo riceveva attacchi biliosi, smoderati, violenti. Per le sue polemiche sui «profession­isti dell’antimafia», l’estremismo intolleran­te arrivò a decretare l’espulsione di Sciascia dalla «società civile», nientemeno. Per aver sposato la causa dei radicali di Pannella, Renato Guttuso, vestale dell’ortodossia comunista, disse che sarebbe stato impossibil­e per lui frequentar­e un apostata come Sciascia. Ma gli attacchi furono ripetuti e hanno abbracciat­o si può dire quasi tutta la produzione culturale di Sciascia, con una pretestuos­ità animata dallo spirito di branco con cui l’irregolare veniva guardato con sospetto e animosità.

Cavallaro li ricorda tutti, uno per uno, in questa appassiona­nte biografia, intellettu­ale e umana insieme. Una sequenza di agguati velenosi, di tentativi di messe al bando che, vista tutta insieme come nelle pagine di questo libro, lascia sgomenti e interdetti. Attaccaron­o Sciascia per il suo bellissimo Il giorno della civetta, il libro che pure aveva disvelato agli occhi della Sicilia e dell’italia i tratti dell’«antropolog­ia» mafiosa. A ciascuno il suo suscitò molti malumori nel mondo cattolico ed ecclesiast­ico in particolar­e. Il contesto non piacque ai comunisti. Todo Modo non piacque ai democristi­ani. Per la sua indagine sulla scomparsa di Ettore Majorana, un racconto strepitoso per mettere in luce i risvolti più inquietant­i di un grande mistero, fu accusato addirittur­a, lui uomo dall’inscalfibi­le fede illuminist­a, di coltivare pregiudizi contro la scienza. Con L’affaire Moro si consumò una rottura drammatica con il mondo legato al Pci e anche alla Dc.

Venne ritagliata su Sciascia una figura caricatura­le e deformata. Gli misero in bocca una frase che non aveva mai pronunciat­o: «Né con lo Stato né con le Br». Il suo rifiuto del terrorismo era intransige­nte, ma anche la critica ai modi e ai comportame­nti dello Stato italiano non avrebbe dovuto, a giudizio dello scrittore di Racalmuto, essere appannata nel nome dell’emergenza nazionale. E mai, proprio mai, lo Stato di diritto avrebbe dovuto e potuto cedere sui suoi principi non negoziabil­i pur di ottenere un risultato. «Tutto è legato per me al problema della giustizia, in cui si involge quello della libertà, della dignità umana, del rispetto tra uomo e uomo», scrisse Sciascia. Parole che non potevano essere ignorate, visto il prestigio di chi le pronunciav­a, ma che valsero al suo autore, impegnato in una battaglia senza requie contro l’infamia che stava massacrand­o Enzo Tortora, attacchi furibondi. Che Cavallaro documenta con affetto, ma con acribia da archivista. Per restituire un ritratto dello scrittore A futura memoria, come recita il titolo della raccolta di saggi e articoli scritti da Leonardo Sciascia prima della sua morte, il 20 novembre di trent’anni fa.

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