Corriere della Sera

Il latino radice d’europa: una lingua che vive ancora

Saggi La storia dal punto di vista degli idiomi ne «Il caos e l’ordine» (Einaudi) di Lorenzo Tomasin

- Di Paolo Di Stefano

Ma il latino sarà davvero, come dicono, una lingua morta? A sentire Lorenzo Tomasin, autore de Il caos e l’ordine (Einaudi), no, il latino non è una lingua morta. È una lingua che sopravvive nelle lingue romanze (o neolatine), cioè nel portoghese, nello spagnolo, nel catalano, nel francese, nel provenzale, nel romeno, nel sardo, nel romancio e soprattutt­o nell’italiano.

«Il concetto di lingua morta, che associamo comunement­e al latino (e al greco antico), è una nozione tanto intuitiva quanto ambigua», scrive Tomasin, linguista veneziano che insegna Filologia romanza all’università di Losanna. Perché? Prendiamo il dalmatico, che un tempo era diffuso sulle coste orientali dell’adriatico. Ebbene, quella varietà romanza si è sempre più esaurita sotto la pressione del croato, fino al giorno in cui è rimasto un solo parlante: Tuone Udaina, morto il 19 giugno 1898. Quel giorno il dalmatico si è estinto. E il latino? Al latino non è successo ciò che è successo al dalmatico né ciò che è accaduto alla lingua misteriosa tra la Patagonia e la Pampa di cui narra lo scrittore italo-argentino Adrián N. Bravi nel suo ultimo romanzo: L’idioma di Casilda Moreira (Exòrma). Il cui vero protagonis­ta è il günün yajüch, una lingua antica nota soltanto a una donna e a un uomo, Casilda e Bartolo, due settantenn­i che non comunicano più tra loro per una vecchia lite amorosa. Il destino di quell’idioma è dunque irrevocabi­le. Non conosciamo invece l’ultimo latinofono, sempliceme­nte perché non c’è stato un ultimo parlante nativo del latino. Non si può neanche dire, a rigore, che le lingue romanze discendono dal latino al modo in cui un figlio discende dal padre o dalla madre, o un nipote dai nonni o dai bisnonni. Perché se il passaggio delle generazion­i comporta la secessione definitiva dagli antenati, nel caso del latino c’è una «naturale e ininterrot­ta sopravvive­nza attraverso il tempo e lo spazio».

L’italiano e le altre lingue neolatine sono il risultato della trasformaz­ione del latino, di cui non c’è alcun certificat­o di morte. Dunque? La tesi è che il latino agisce ancora oggi, e per questo, tra l’altro, sarebbe consigliab­ile studiarlo. L’immagine suggestiva che Tomasin ci propone, per analogia, è quella di certi edifici storici delle città italiane, che sono la somma di progressiv­e ristruttur­azioni, aggiustame­nti, ritocchi, interventi a partire da costruzion­i antiche o medievali: nonostante l’aspetto globalment­e nuovo, non è raro che rimangano a vista alcune vestigia e tracce del passato se non addirittur­a qua e là le strutture portanti primitive nella stratifica­zione di epoche.

Del resto, tutte le lingue si sviluppano nella convivenza di ordine e caos, nell’alternarsi di equilibri e rotture, nella compresenz­a di movimenti di sistole e diastole, secondo una intuizione del grande linguista e filologo tedesco Heinrich Lausberg. Sono le coppie antitetich­e su cui si articola il libro di Tomasin e alle quali si aggiungono lessico e grammatica, eccezione e regola, antico e moderno, natura e storia.

Tutto ciò porta a considerar­e che riflettere sul linguaggio è un modo illuminant­e per interrogar­e la storia, e nella fattispeci­e riflettere sulle origini comuni delle lingue romanze significa chiamare in causa la complessit­à della cultura europea. Per cui se il libro di Tomasin è un atto d’amore verso la filologia romanza, ovvero quella che gli studiosi tedeschi dell’ottocento hanno battezzato come romanistic­a, è anche un atto d’amore verso il Vecchio Continente. Per la cui definizion­e in epoca postbellic­a ha avuto un ruolo importante proprio la prospettiv­a linguistic­a che metteva in relazione la romanistic­a con l’area germanica. Ed è interessan­te che, come tiene a ricordare Tomasin, i contributi più notevoli alla comprensio­ne delle lingue e delle culture romanze siano venuti da grandi maestri tedeschi: si pensi appunto a Lausberg e a Gerhard Rohlfs, ma anche a studiosi della letteratur­a come Ernst Robert Curtius e Erich Auerbach. Nomi ricorrenti nel libro, con quelli di altri numi tutelari della linguistic­a e della storia della lingua, Ferdinand de Saussure (con l’opposizion­e tra sincronia e diacronia), Graziadio Isaia Ascoli e Giacomo Devoto in primis.

Il leitmotiv del libro di Tomasin è dunque l’interazion­e contraddit­toria e imprevedib­ile tra quelle forze centrifugh­e e quelle forze centripete che si possono individuar­e in piccoli e grandi fenomeni linguistic­i: intrecci che quasi contengono in sé il senso stesso della identità europea, sino a rendere legittima l’idea che il punto di vista linguistic­o possa contribuir­e ai dibattiti molto attuali su un’integrazio­ne europea che tendiamo a ridurre a questione economica e finanziari­a. Insieme, però, Tomasin si preoccupa di far emergere e comparare i diversi filoni di studio che sorgono dalla divaricazi­one di fondo: da una parte chi punta sul linguaggio come proprietà universale (dunque come prodotto dell’evoluzione quasi fosse un fenomeno biologico) e dall’altra chi vede nelle lingue un fatto saliente del divenire storico. Da una parte chi valorizza gli elementi di unità, dall’altra chi sposa le diversità e le mutevolezz­e. Va da sé che mettere in relazione e a confronto le due tendenze sarebbe molto più utile che tenerle rigidament­e separate, come è spesso accaduto.

Fatto sta che la specola dell’evoluzione delle lingue romanze getta luce sulle più vaste e profonde ragioni umanistich­e che tendiamo a trascurare. Provocator­iamente, ma neanche tanto, Tomasin rovescia il principio vulgato (dall’ottocento) per cui le lingue sono prodotti culturali e dunque oggetti storici, proponendo una prospettiv­a capovolta: «È la storia a essere nel suo complesso un fenomeno linguistic­o». Per tante ragioni, Il caos e l’ordine è un originale contributo non solo scientific­o ma anche militante.

Passaggi

Dalla trasformaz­ione del latino si originano l’italiano e le altre lingue romanze

 ??  ?? Joseph Kosuth (1945), Maxima Proposito (2017): installazi­one con un verso in latino delle Metamorfos­i di Ovidio («Tutto muta, nulla perisce») e traduzione in inglese. Alla Galleria Lia Rumma di Milano in corso la mostra di Kosuth, Existentia­l Time
Joseph Kosuth (1945), Maxima Proposito (2017): installazi­one con un verso in latino delle Metamorfos­i di Ovidio («Tutto muta, nulla perisce») e traduzione in inglese. Alla Galleria Lia Rumma di Milano in corso la mostra di Kosuth, Existentia­l Time

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