CODICE PORDENONE
L’appuntamento Una grande mostra nella città da cui prese il nome celebra il Pordenone. Che seppe tener testa ad un tempo difficile: il suo IL RIVALE DI TIZIANO CHE SI BATTEVA CON IL PENNELLO E CON L’AFFABILITÀ
Nel primo decennio del Cinquecento, mentre Michelangelo e Raffaello (con Leonardo grande sconfitto costretto a emigrare in Francia) si contendevano la piazza di Roma, a Venezia Giorgione regnava come genio indiscusso. Il ragazzo arrivato da Castelfranco Veneto morì però nel 1510, a soli 33 anni, e da quel momento nella Serenissima si scatenò una lotta senza quartiere per prenderne il posto. Antonio de Sacchis, detto il Pordenone, e Tiziano Vecellio, divennero i campioni del ring cittadino, entrambi sospinti dall’ambizione dei provinciali.
Nella tifoseria si schierarono persino due illustri foresti come Michelangelo e l’aretino. Il primo, in fuga dalla sua Firenze assediata nell’estate del 1529, si rifugiò per breve tempo a Venezia dove si tenne accuratamente in disparte, ma trovò comunque il modo di celebrare il Pordenone, con il peso della sua autorevolezza. Molto più chiassoso fu invece l’intervento a favore di Tiziano del polemista Aretino «che lo fece conoscere tanto lontano quanto si distese la sua penna», riferisce il Vasari.
La battaglia fu lunga e lasciò sul campo colleghi geniali come Lorenzo Lotto, che finì per abbandonare il terreno di scontro per i lidi più sicuri delle Marche. Altri, primo fra tutti il Giambellino, trovarono la loro nicchia in una dimensione intima e nascosta. Non parliamo poi degli stranieri come Dürer che, sceso due volte a Venezia, fu subito consigliato di rimanere chiuso in casa per non essere avvelenato dai colleghi rivali.
Pordenone, invece, non mollò mai. Si spostò fra Piacenza, Cremona, Treviso, la sua città natale e la provincia, ma si adoperò sempre per dipingere anche negli stessi luoghi in cui lavorava Tiziano. In competizione, come in San Giovanni in Rialto, dove molti, commentò il Vasari, «più per malignità, che per dire il vero, lodarono l’opera di Giovan Antonio». Un clima shakespeariano confermato dai racconti dell’altro biografo, il Ridolfi, che ricorda come il friulano dipingeva tenendo accanto a sé la spada e lo scudo «per l’animosità contratta con Tiziano per la gara che trà di lor passava».
Il braccio di ferro si concluse solo con la morte del Pordenone avvenuta a Ferrara nel 1940, così improvvisa che lo stesso Vasari non poté fare a meno di riportare le voci raccolte: «Parve ciò cosa strana al Duca e similmente agli amici di lui. E non mancò chi per molti mesi credesse lui di veleno essere morto». Tutto il decennio 1530-40, come ha ricostruito André Chastel, «fu caratterizzato dall’antagonismo fra Tiziano e Pordenone» per accaparrarsi l’accesso alle commissioni ufficiali «che l’entusiasmo del pubblico aveva riservato al Pordenone». La popolarità gli era arrivata con la decorazione a fresco della facciata sul Canal Grande della casa di Martin d’anna che comprendeva «un Curzio a cavallo in iscorto, che pare tutto tondo e di rilievo», spiega il Vasari. Il quale specificava come Pordenone si impegnasse per battere la concorrenza anche «con l’essere affabile e cortese, e praticar continuamente a bella posta con uomini grandi». Un’immagine viva, che ci racconta di trame, conversazioni, ricevimenti nei campielli e nei palazzi veneziani in cui si parlava sì dei prezzi delle merci scaricate nel porto, ma anche di collezioni e collezionisti, come fanno oggi gli uomini d’affari quando durante le cene gongolano nel raccontare i loro acquisti alle fiere di Londra o New York. Pordenone tanto brigò che, «fattosi amico e domestico» di messer Jacopo Soranzo — dice sempre Vasari — si fece commissionare a concorrenza di Tiziano la sala de’ Pregai riempita di figure scorciate dal basso: un virtuosismo dalla possanza michelangiolesca diventato la sua firma stilistica. Che a Genova, invece, fu rifiutato dal principe Andrea Doria dopo aver visto quanto quella maniera muscolare e vigorosa si discostasse dalla grazia praticata dai seguaci raffaelleschi.
Ma l’episodio culmine delle rivalità fu il concorso del 1530 per l’esecuzione della pala di san Pietro martire nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo. Ridolfi riferisce che oltre a Tiziano parteciparono il Pordenone e Palma il Vecchio, mentre il Lotto decise di astenersi. Tiziano riscosse un successo unanime testimoniato dalle numerose repliche subito dipinte e incise dell’originale scomparso poi nel 1877. L’aretino consacrò la pala come «la più bella cosa in Italia». E spianò così la strada alla posizione dominante di colui che diventerà il pittore degli Asburgo, davanti a cui Carlo V si chinò per raccogliere il pennello.
Spirito competitivo Antonio de Sacchis faceva sempre in modo di confrontarsi con l’antagonista
Le «vittime»
La battaglia lasciò sul campo colleghi geniali come Lotto, che finì per abbandonare il terreno