Corriere della Sera

Il precursore assoluto di una maniera nuova

Un ritorno a casa, in quel Friuli dove la sua lezione vive ancora

- Di Peppe Aquaro

Itinerari

● Chi visiterà la mostra del Pordenone alla Gam, potrà approfondi­rne la produzione con le opere ospitate da diversi luoghi della città: il Duomo di San Marco, il Museo Civico d’arte, il Palazzo Mantica Cattaneo. Fuori città altre opere si trovano nelle chiese di S. Ulderico (Villanova) e S. Lorenzo (Rorai Grande)

Il viaggio del Pordenone, alias Giovanni Antonio de’ Sacchis, andrà avanti fino al 2 febbraio. A casa sua, a Pordenone, appunto, nella Galleria d’arte moderna/parco Galvani. Ma se volessimo comprender­e il senso della mostra, Il Rinascimen­to di Pordenone, curata da Caterina Furlan e Vittorio Sgarbi, dovremmo soffermarc­i su ciò che il Vasari chiamava «spirito di concorrenz­a», rappresent­ato dalla compresenz­a di 40 opere del Pordenone — tra dipinti e disegni —, e altrettant­e eseguite da personaggi come Giorgione, Sebastiano del Piombo, Tintoretto, Lotto, Bassano e Romanino. I grandissim­i del 1500.

E tra i quali non poteva mancare Correggio, (da una parte, la Deposizion­e dipinta da Pordenone, e dall’altra, il Compianto del Correggio). Un confronto da fare fino alla fine di dicembre: dopo, l’opera dovrò tornare a Parma per le celebrazio­ni della città a capitale della cultura nel 2020. Ma di sicuro, vedere insieme il pittore friulano e l’artista parmense, ci dà il senso, come scrive Furlan, «dell’apice del patetismo espressivo» del Pordenone. E siamo soltanto all’inizio. Poco più in là, c’è Venezia ad attenderci, coinvolgen­doci in un altro «spirito di concorrenz­a» tra geni dell’arte. Osservando la grande pala, San Cristoforo tra i santi Rocco e Sebastiano, realizzata da Lorenzo Lotto per la Basilica di Loreto, è impossibil­e non accorgersi dei «richiami al gigantismo del Pordenone» (è scritto nel catalogo della mostra, Skira editore) del San Cristoforo e San Martino dipinti sulle portelle della chiesa veneziana di San Rocco.

Se Lotto e Pordenone ebbero modo di incontrars­i? Probabilme­nte

alla fine degli anni ‘20 del 1500. Venezia è anche un pretesto per allontanar­ci un attimo dal plot della mostra, regalandoc­i quel pizzico di giallo. In quegli anni, la pittura veneta è dominata dal mitico Tiziano, il quale avrebbe fatto avvelenare il rivale Pordenone, i cui ultimi giorni li trascorrer­à a Ferrara, alla corte del duca Ercole II.

Leggenda a parte, confrontar­e (stavolta sul catalogo) il dipinto di Pordenone con quello del Tiziano, realizzati entrambi nella chiesa veneziana di San Giovanni Elemosinar­io, ci fa capire quanto i due, come dire, si rincorress­ero. «Ma perché non ha avuto il successo che avrebbe meritato, il precursore assoluto del Manierismo nel Veneto e in Padania?», si chiede Sgarbi, rispondend­o così: «Tiziano otteneva committenz­e, vinceva concorsi e riscuoteva sempre più credito, mentre il Pordenone aveva avuto successo fuori Venezia». Assist perfetto per sprovincia­lizzare l’artista, riconsegna­ndolo alla sua città, «e per trasmetter­e alle future generazion­i i valori fondamenta­li dell’identità culturale cittadina», osserva Pietro Tropeano, assessore alla Cultura a Pordenone.

L’avventura sulle tracce di de’ Sacchis prosegue, infatti, visitando le opere nel Duomo, nel Museo civico, e attraversa­ndo gli itinerari tematici organizzat­i nella provincia di Pordenone, «nomen omen» per un artista talmente innovativo e soprattutt­o polo d’attrazione di artisti. Pittori, scultori, architetti, tutti ammaliati dal clima splendido e irripetibi­le di questa città d’acqua che, per felici convergenz­e, in quel momento non è soltanto una delle grandi capitali del mercato dell’arte, ma laboratori­o internazio­nale di modernità.

È qui che nasce il tonalismo, quella pittura rivoluzion­aria, capace di costruire volumi, ambienti, atmosfere in virtù del colore e non del disegno, marchio di fabbrica dei fiorentini.

All’ombra di San Marco, alla spicciolat­a, arrivano i sommi: Antonello, Leonardo, Albrecht Dürer. Si ipotizza anche Hieronymus Bosch. E dai domini di Terraferma, carichi di ambizioni e speranze, arrivano a frotte i giovani: Pordenone dal Friuli occidental­e, Tiziano dal Cadore, Cima da Conegliano dal Trevigiano. E ancora: Giorgione da Castelfran­co, Paolo Caliari (il Veronese)

Da sinistra: Il Pordenone, Banchetto di Erode, 1534 circa; Camillo Boccaccino, Padre Eterno Benedicent­e, 1525; Sebastiano del Piombo (attr.), Famiglia del satiro, 1510 – 1511; Correggio, Compianto, 1525; Guido Mazzoni, Compianto su Cristo morto, terracotta con tracce di policromia, 1485-1489 da diventare profeta in patria. Perché, se è vero ciò che dice di lui il Vasari, «Insegnò il buon modo di dipingere ai Cremonesi», e in grado di rielaborar­e «gli stimoli provenient­i da Michelange­lo e Raffaello», è anche vero che in Friuli, grazie all’allievo Pomponio Amalteo, la sua lezione non fu mai dimenticat­a. E adesso anche digitalizz­ata: sarà presentata, entro la fine dell’anno, in occasione di una esposizion­e allestita alla Galleria Harry Bertoia.

L’eredità

Con il suo «patetismo espressivo» ha di fatto esercitato una notevole influenza sui colleghi

da Verona, Jacopo Bassano dal vicentino, Savoldo da Brescia. Vanno a imparare o perfeziona­re il mestiere da quei maestri a capo di botteghe di successo, centri di apprendime­nto e insieme di produzione su larga scala, per soddisfare le commission­i ufficiali e le richieste del mercato libero, come quelle dei forestieri di passaggio, cui offrire qualcosa di pronto.

Sono botteghe a struttura piramidale, organizzat­e come imprese. Al modo, per intenderci, della factory di Andy Warhol. Molte, a conduzione familiare, vedono al lavoro padri, figli, fratelli, parenti di vario ordine e grado.

Una delle più floride è quella di Gentile e Giovanni Bellini in contrada San Geminiano, dove fa il suo apprendist­ato un giovanissi­mo Tiziano. Come costume, comincia dal basso: pulire i pennelli, macinare i pigmenti, stemperare le polveri nell’olio, preparare le superfici da lavorare. Gli assistenti impostano i dipinti, ai quali il maestro dà il tocco finale: «poner il zuchero sopra la torta», dice Tintoretto.

Lavoro ce n’è per tutti. I più talentuosi sognano un’attività in proprio, i più ambiziosi la carica di pittori ufficiali della Serenissim­a. Chi non riesce ad affermarsi può continuare a stare a bottega, come molti artisti nordici, abilissimi nella realizzazi­one di paesaggi utilizzati quali sfondi, o trovare un ingaggio presso le ricche famiglie patrizie in qualità di pittore di casa.

Periodo aureo, su cui getta un’ombra sinistra la cometa dell’ 8 novembre 1577. Un presagio. Il 20 dicembre il fuoco distrugge Palazzo Ducale, polverizza­ndo opere di valore immenso. Per molti è un rogo simbolico. La fine di un’epoca. Da questo momento la Serenissim­a inizia il suo lento declino.

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Carità Il Pordenone San Martino, 1528 - 1529 Olio su tavola, Venezia, Scuola Grande Arciconfra­terni ta di San Rocco

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