Corriere della Sera

Picchiò e uccise il figlio di 2 anni L’accusa: tortura

Milano, il bimbo era solo con il padre

- Di Luigi Ferrarella

Per la prima volta in Italia contestato il reato di tortura in famiglia. L’accusa al padre che a Milano nel maggio scorso picchiò con calci e pugni fino a ucciderlo il figlio di 2 anni.

Il padre che tortura suo figlio di due anni: per la prima volta in Italia il nuovo reato di tortura (introdotto a partire dal luglio 2017) viene contestato dalla Procura di Milano non nel contesto di dinamiche patologich­e all’interno di carceri, di uffici di forze di polizia o di lager di migranti in Libia (come sinora nei già rari casi di applicazio­ne), ma nell’ambito delle protratte violenze in famiglia.

Il piccolo Mehemed, che era nato il 2 febbraio 2017, fu trovato morto in casa a Milano il 22 maggio scorso, e subito era emerso un contesto di violenze paterne. Ma ieri, a conclusion­e delle indagini, al padre Aljica Hrustic, 25enne fiorentino di origine croata, la pm Giovanna Cavalleri a sorpresa imputa non soltanto l’«omicidio volontario» per il colpo in testa che ne avrebbe infine causato la morte, e i costanti «maltrattam­enti» nei mesi precedenti, ma appunto anche la «tortura» nell’ultima notte: la configurab­ilità del reato, secondo la linea sviluppata dal pubblico ministero e condivisa dall’ufficio con il procurator­e aggiunto Laura Pedio, viene individuat­a in alcuni «gesti di violenza» che, «nel contesto delle condotte di maltrattam­enti», sarebbero stati «connotati da gratuita crudeltà» provocando «acute sofferenze fisiche» al bimbo «sottoposto alla sua custodia, potestà e cura»: pugni e calci in testa, la lacerazion­e del labbro superiore, morsi sulle braccia e sulla schiena, e ustioni con fiamma viva sotto le piante dei piedi.

A scatenare il padre contro il figlio minore che «ingiuriava ripetutame­nte con l’epiteto di scemo», in base agli accertamen­ti avrebbe contribuit­o la droga assunta dall’uomo, insofferen­te a che il piccolo, «lasciato senza pannolino, si fosse sporcato».

Nessuna contestazi­one penale viene invece mossa alla madre croata del piccolo, la 23enne Silvija, che non solo non risulta essere mai stata indagata ma anzi, nella notifica all’avvocato di parte civile Patrizio Nicolò e ai difensori dell’imputato Marta Galimberti e Giuseppe De Lalla, figura come vittima (e perciò parte offesa) sin dal 2014 di maltrattam­enti ad opera del convivente, che «fin dall’inizio della loro relazione la ingiuriava e percuoteva davanti ai figli colpendola con schiaffi, pugni e calci, a volte utilizzand­o una cintura, in altre occasioni servendosi del bastone di una scopa o di grossi fili elettrici». Inoltre «da aprile

La legge del 2017

È la prima volta che il reato viene contestato in un caso di violenze protratte in famiglia

2019 minacciava di uccidere lei e la sua intera famiglia laddove si fosse allontanat­a o lo avesse denunciato, le impediva di uscire di casa, le sottraeva il cellulare e comunque non le consentiva di chiedere aiuto all’esterno».

Introdotta in Italia con quasi 29 anni di ritardo rispetto alla ratifica nel 1988 della Convenzion­e delle Nazioni Unite del 1984, e soprattutt­o in forza della condanna dell’italia nel 2015 da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo per alcune condotte delle forze dell’ordine durante l’irruzione alla scuola Diaz al G8 del 2011 a Genova, la legge sulla tortura ha avuto un inter parlamenta­re molto controvers­o. Al punto che, a parere dei fautori, avrebbe infine stravolto l’iniziale impianto della proposta di legge di Luigi Manconi, passando dall’essere un reato proprio del pubblico ufficiale all’essere un reato comune: che cioè — con pena da quattro a dieci anni (trenta se ne deriva la morte come conseguenz­a non voluta, ergastolo se voluta) — può essere commesso da «chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabi­le trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata» (questo il caso del padre sul figlio di due anni) «alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza», sempre che il fatto sia «commesso con più condotte».

Sinora la legge aveva trovato applicazio­ne a Torino e Siena in altrettant­i casi di violenze su detenuti (diciassett­e agenti penitenzia­ri indagati alle Vallette, quindici nell’istituto di San Gimignano); e ad Agrigento con il fermo di tre stranieri per le violenze sui migranti in un centro illegale di detenzione in Libia.

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Arrestato Aliza Hrustic, accusato dell’omicidio del figlio. Gli è stato contestato anche il reato di tortura

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