Corriere della Sera

La consulenza legale su un passaggio chiave per le finanze pontificie

La mossa di Mincione nella sfida su Retelit

- Di Mario Gerevini e Fabrizio Massaro

«Dal Vaticano, 28 novembre 2018. Spettabile Credit Suisse, con riferiment­o alla relazione bancaria n. S0456-033 … intestata a questa Segreteria di Stato - Sezione per gli Affari Generali – presso codesto Credit Suisse (Lugano), mi pregio di disporre la seguente operazione (...): trasferire l’importo di Euro 45.400.000 alla Rubrica Gutt...». La lettera è firmata Edgar Peña Parra, da poco più di un mese Sostituto della Segreteria di Stato. È il bonifico che innesca l’acquisto esclusivo da parte del Vaticano del palazzo di Sloane Avenue 60 in centro a Londra, fin lì posseduto in tandem con il finanziere Raffaele Mincione (al 55%), e oggi al centro di un’inchiesta della magistratu­ra del Papa. È l’uscita, concordata con Mincione, dallo spinoso investimen­to del 2014 quando l’allora Sostituto, Giovanni Angelo Becciu, prelevò 200 milioni di dollari dalla cassa dell’obolo di San Pietro — alimentato dalle offerte dei fedeli — per rilevare, con il fondo Athena di Mincione, il 45% dell’immobile londinese. Con lo stesso accordo, escono dal portafogli­o della Santa Sede partecipaz­ioni speculativ­e in Borsa, lontanissi­me da ogni logica di investimen­to «etico» e conservati­vo: Carige, Retelit, Tas. Il Vaticano chiude con Mincione e Athena. Ma riparte con Gianluigi Torzi, 40enne finanziere e abile trader di valuta a Londra. Torzi è alla guida di Gutt, la società nuova proprietar­ia del palazzo, su incarico della Segreteria. Ma la

ripartenza è tutt’altro che lineare. Trame, sospetti e veleni si diffondono fin da subito nei corridoi della Santa Sede, ben prima che parta l’inchiesta vaticana. Gutt avrà vita breve e Torzi sarà liquidato con 10 milioni di euro.

Anche il divorzio da Mincione, del resto, non era stato sereno. Si è consumato negli ultimi mesi del 2018 con l’arrivo di Peña Parra. Il colpo di grazia probabilme­nte è stato il report di settembre del fondo Athena Capital Global Opportunit­ies Fund, quello tutto investito dalla Segreteria: -9% in un anno, -20% dal lancio, rispetto a +4% e +20% di un fondo comparabil­e. Il rapporto contiene nel dettaglio tutte le partecipaz­ioni: la banca genovese in crisi; Tas, gruppo di pagamenti digitali; Retelit, società di telecomuni­cazioni che gestisce 12 mila chilometri di fibra ottica e ha tra i clienti il governo Usa. Tutte scalate da Mincione con soldi del Vaticano, come lui stesso ha rivelato il 13 ottobre al Corriere. Una storia ripresa ieri dal Financial Times.

In particolar­e è dagli inizi del 2018 che il fondo Athena si muove in tandem su Carige, dove Mincione sfida la famiglia Malacalza per il controllo, e su Retelit. Su quest’ultima, lo scontro per la conquista del consiglio di amministra­zione, attraverso la società Fiber 4.0, vede contrappos­ta Athena a un gruppo di investitor­i istituzion­ali con al centro la società statale libica Lptic (Libyan Post Telecommun­ications). I libici erano arrivati al 24% stringendo un patto con il fondo tedesco Axxion gestito da Shareholde­r Value Management. All’assemblea del 27 aprile Mincione viene sconfitto. Tuttavia, per fermare gli avversari, il 20 aprile il finanziere aveva presentato un esposto al governo Gentiloni: chiedeva che Palazzo Chigi dichiarass­e la rilevanza strategica di Retelit usando i poteri speciali («golden power»), nella speranza di far decadere il nuovo cda. La battaglia legale proseguì dopo l’assemblea. Ed è qui che interviene l’avvocato Giuseppe Conte. Il 14 maggio emette un parere per Fiber 4.0 in cui sostiene che il golden power si può applicare a Retelit e che quindi andava comunicato al governo il passaggio del controllo ai libici. La settimana dopo, il 21, Conte è proposto premier da Movimento 5

Stelle e Lega. Per quel parere, a quanto risulta, Conte presentò una fattura da 15 mila euro il 29 maggio. Il 7 giugno, con il premier che si astiene, il neonato esecutivo riconosce Retelit come «strategica». Una coincidenz­a? «Abbiamo chiesto un parere a uno studio legale, che purtroppo aveva scritto un’opinione che non andava nella nostra direzione», ha spiegato a gennaio Mincione al Corriere. «Quindi ci ha suggerito il nome di un avvocato che aveva la nostra stessa scuola di pensiero. Era quello di Conte, che non era ancora nessuno. Io non l’ho mai incontrato, non lo conosco, non gli ho mai dato un incarico, lo ha fatto uno dei miei collaborat­ori». Ieri il presidente del Consiglio ha spiegato che anche l’antitrust ha riconosciu­to, il 23 gennaio, di non ravvisare «conflitti di interesse» e ha detto di non conoscere Mincione. Athena in Retelit aveva investito 5 milioni. A settembre il valore era sceso a 2,87 milioni, anche per il vincolo apposto dal governo. Una perdita che ha pesato nella rottura tra Mincione e Vaticano.

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Il parere di Giuseppe Conte per Fiber 4.0
Il documento Il parere di Giuseppe Conte per Fiber 4.0
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Il bonifico L’operazione della Segreteria di Stato per rilevare dal fondo Athena il 55% di un palazzo a Londra

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