Corriere della Sera

Tassi e stabilità, la doppia lezione lasciata in eredità

- Di Danilo Taino DAL NOSTRO INVIATO

FRANCOFORT­E Mario Draghi usa dire che un banchiere centrale non deve fermarsi mai. Nemmeno nel momento dell’addio, evidenteme­nte: nel discorso di saluto finale che ha pronunciat­o ieri alla Banca centrale europea non ha concesso un minuto alla retorica del congedo; ha parlato solo di politica ai politici. Ha detto che, dopo otto anni di presidenza, si porta via innanzitut­to due lezioni: e le ha proposte a chi gli succede, Christine Lagarde, e ai capi di Stato e di governo dell’eurozona che lo ascoltavan­o. Sono i due pilastri della saggezza di Mario Draghi.

La prima lezione è la costruzion­e di una banca centrale moderna, che non è un modo di dire. Fino a una decina d’anni fa — ha detto il presidente uscente della Bce — l’obiettivo era solo la lotta all’inflazione. Ma poi c’è stata una «inattesa inversione: le forze inflazioni­ste si sono rovesciate in deflazioni­ste». Ciò ha significat­o un «cambiament­o di paradigma» per tutte le banche centrali dei Paesi avanzati: per la Bce ha voluto dire cercare la stabilità sia contro le pressioni sui prezzi verso l’alto che verso il basso. Con una serie di strumenti mai sperimenta­ti prima: i tassi d’interesse negativi, gli acquisti di titoli sui mercati, la comunicazi­one anticipata delle mosse future della banca. Questa Bce moderna nata negli ultimi anni è la prima eredità lasciata a Lagarde, completa di uno staff che la accompagne­rà nelle decisioni.

La seconda lezione riguarda il «predominio monetario», cioè l’obbligo della Bce di non sottomette­re la politica monetaria a quella di bilancio dei governi, cioè di essere indipenden­te e non sostituirs­i alle decisioni nazionali, per quanto possano essere deleterie. Questo va bene, ha detto Draghi, ma la politica monetaria da sola funziona meno di prima, dà ritorni minori per una serie di ragioni: se quella di bilancio «fosse allineata a essa» (cioè se i governi stimolasse­ro l’economia) la Bce raggiunger­ebbe gli obiettivi più rapidament­e e con minori effetti collateral­i negativi. Draghi vorrebbe che quelle della banca centrale e dei governi fossero «politiche mutualment­e allineate». Anche questo è un territorio nuovo, non facile perché si porta dietro il rischio di compromess­i, i quali per una banca centrale potrebbero essere disastrosi, per quanto in buona fede. Pure questa è un’eredità a Lagarde. La quale – è già chiaro oggi – farà un punto centrale del suo programma l’obiettivo di convincere i governi a politiche di bilancio che favoriscon­o la crescita (così come a riforme struttural­i con lo stesso scopo, ha affermato ieri). Con gli occhi asciutti si va dunque, dal 1° novembre, verso la Bce del dopo Draghi. Sarà diversa: un altro territorio nuovo. Ieri, Lagarde ha citato «c’è un crack in ogni cosa, è da lì che entra la luce»: era la prima volta che l’inno di Leonard Cohen entrava in una banca centrale.

I governi

L’obiettivo di Lagarde: convincere i governi a politiche di bilancio per la crescita e le riforme

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