Corriere della Sera

LA DEMOCRAZIA DEL FUTURO FONDATA SULLA TECNOLOGIA

Prospettiv­e L’aspetto più grave è che oggi mancano idee che possano ridare energia al sistema politico che ha accompagna­to il più grande balzo in avanti che l’occidente abbia mai conosciuto

- Di Francesco Grillo

S u una cosa, Davide Casaleggio ha ragione: la democrazia liberale – quella che è nata nel 1689 nel Regno Unito al termine di anni di rivoluzion­i gloriose – rischia la propria stessa sopravvive­nza. E, tuttavia, è un grave errore di sottovalut­azione ritenere che «i tempi di sperimenta­zione» sono finiti: non abbiamo ancora una ricetta uscita da qualche laboratori­o di Silicon Valley ed è, anzi, urgentissi­mo costruire gli strumenti – intellettu­ali, politici – per governare la mutazione che internet ha avviato.

L’urgenza di capire cosa possiamo concretame­nte fare per salvare il nostro «stile di vita» è dimostrata dal fatto che nelle capitali dei due Paesi che hanno inventato, difeso e – con minore o maggiore successo – esportato la nozione di democrazia, la crisi di fiducia è andata al potere. La democrazia è in crisi, insomma, e stavolta non possiamo neppure aspettarci di essere salvati dagli americani o dagli inglesi, come quando pure riuscimmo a sconfigger­e macchine da guerra di enorme potenza.

È una crisi di obsolescen­za tecnologic­a, quella che stanno vivendo i processi attraverso i quali formiamo decisioni collettive e per avere un’idea sufficient­emente potente della natura del problema che l’occidente deve affrontare, può essere, infatti, utile ricorrere alla Storia. La rivoluzion­e tecnologic­a più simile a quella che internet ha avviato è quella cominciata a metà del Quattrocen­to, quando Johannes Gutenberg inventa la macchina per stampare, importando­ne la tecnica dalla Cina. Quell’oggetto modificò completame­nte la distribuzi­one dell’informazio­ne e, siccome al controllo dell’informazio­ne è legato il potere, cominciò da Magonza un processo storico dalle conseguenz­e straordina­rie. La Chiesa non ebbe più il monopolio della riproduzio­ne e dell’interpreta­zione della conoscenza; Martin Lutero – nella stessa nazione e mezzo secolo dopo l’impresa di Gutenberg – dichiarò di non aver più bisogno della Chiesa per leggere le scritture; si esaurì il Medio Evo e un paio di secoli dopo, a Westminste­r appunto, fu sancita la fine della monarchia

Allarme

In questa crisi non possiamo aspettarci di essere salvati dagli americani o dagli inglesi

assoluta e la nascita dei parlamenti. Oggi, come allora, la tecnologia ridistribu­isce informazio­ne e, dunque, esige nuove modalità – le chiamiamo istituzion­i – attraverso le quali il potere si acquisisce, si limita, si esercita. Stavolta, però, come per una qualche legge del contrappas­so, è la democrazia liberale che rischia di essere dalla parte sbagliata della Storia.

L’aspetto più grave è, però, che ci manca una teoria di ciò che sta succedendo. Ci manca, anzi, l’ambizione per immaginarn­e una nuova e la capacità di unire quelle competenze che – nelle migliori di università del mondo – si sono separate impedendoc­i di capire cosa sta davvero succedendo. Mancano le idee che possano ridare energia al regime politico che accompagnò il più grande balzo in avanti che l’occidente abbia mai conosciuto. Ed è un vuoto che può certo essere colmato attraverso la piattaform­a attraverso la quale gli aderenti a un movimento scelgono se appoggiare un governo. Anche perché, invece, dovremmo porre la necessità di regolare la vita dei partiti (cosa che i padri costituent­i, esplicitam­ente, esclusero) e il voto elettronic­o (che in Estonia utilizzano regolarmen­te).

La prospettiv­a (ne parlo nel libro «Lezioni cinesi» nel quale osservo il paradosso della Cina che – senza aver mai avuto un’elezione politica – sta vincendo il ventunesim­o secolo) può, forse, essere quella di trasformar­e l’idea stessa che abbiamo di democrazia. Non più solo meccanismo attraverso il quale ci limitiamo a scegliere la nostra classe dirigente o (nella stessa ipotesi di democrazia diretta) tra due possibili proposte; ma «sistema informativ­o» attraverso il quale far emergere bisogni e competenze individual­i e aggregarle in intelligen­za collettiva, coscienza di essere comunità. Democrazia come metodo per risolvere problemi e non solo, a questo si è ridotto in Italia, come mezzo di televoto per esprimere preferenze sui personaggi di una soap opera irrilevant­e.

Se fosse questa l’intuizione da cui partire, ne potremmo, forse, derivare innovazion­i concrete. Riorganizz­are i confronti elettorali per problemi (copiando gli svizzeri) e per servizi pubblici (un giorno potremmo immaginare di far eleggere il presidente della Rai a chi paga il canone), perché in fondo le elezioni politiche generali pongono agli elettori una scelta molto più complessa.

Introdurre in Europa la possibilit­à di votare ed essere votati in collegi non più legati a un territorio. Dare un voto in più a ogni genitore per ciascun figlio minorenne, visto che sono gli adolescent­i quelli che più hanno più da perdere per decisioni sbagliate. Spostare competenze e risorse dalle Regioni e dagli Stati alle città la cui stessa dimensione rende possibile il confronto.

La democrazia liberale è, come ricordereb­be Churchill, il migliore regime politico tra quelli che l’uomo ha inventato per stare insieme. La strada per salvarlo è restituirg­li efficienza e la capacità di farci riconoscer­e come comunità. Per riuscirci bisognereb­be mettere insieme la sensibilit­à di chi ha vissuto di Costituzio­ni e ne riconosce la fragile importanza, e di chi ha consapevol­ezza delle forze che le tecnologie stanno scatenando.

Svolte

La rivoluzion­e più simile a quella avviata da internet è quella di Gutenberg con la stampa

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