Corriere della Sera

GIOVANNI XXIII L’ANTIPAPA

COLUI CHE ASSUNSE IL NOME NEL XV SECOLO FU DEPOSTO. MA MERITA LA RIABILITAZ­IONE

- Di Paolo Mieli

Mario Prignano ricostruis­ce per Morcellian­a la vicenda di Baldassarr­e Cossa che risale all’epoca dello Scisma d’occidente (1378-1417). Colpito da un’aspra condanna, ebbe però il merito di convocare il Concilio che rilanciò la Chiesa

B aldassarre Cossa fu eletto Papa nel 1410 e prese il nome di Giovanni XXIII. Giovanni XXIII? Non è il nome che volle per sé Angelo Roncalli nel 1958 quando salì al trono pontificio come successore di Pio XII? È così. Quel suo predecesso­re di cinque secoli prima fu infatti un antipapa. Passato alla storia, tra l’altro, come un uomo corrotto, avido, sanguinari­o, sessualmen­te depravato. Ed è a lui, non a Roncalli, che Mario Prignano dedica una straordina­ria biografia, Giovanni XXIII. L’antipapa che salvò la Chiesa, che sta per essere pubblicata da Morcellian­a. In che senso quell’antipapa, secondo Prignano, «salvò la Chiesa»? Nella prefazione al libro, il cardinale Walter Brandmülle­r, grande studioso di quella complicati­ssima stagione della storia ecclesiast­ica, ricorda che Prignano, l’autore del libro, è un discendent­e della famiglia a cui appartenev­a Urbano VI, al secolo Bartolomeo Prignano, la cui elezione dell’8 aprile 1378, fu, dopo appena tre mesi, messa in discussion­e. E fu contestata da parte di un gruppo di cardinali ribelli con la nomina di un antipapa, atto che portò allo scoppio dello Scisma d’occidente (13781417).

Brandmülle­r loda l’autore del libro per aver preso le distanze «dal mainstream della storiograf­ia» che ha sempre dipinto «e tuttora dipinge» il Giovanni XXIII del Quattrocen­to — ultimo Papa dello scisma del cui inizio ai tempi di Urbano VI si è testé detto — «con colori tetri e tratti brutti» attenendos­i al racconto di Teodorico de Niem, ufficiale della Curia romana nonché accanito nemico di Cossa.

Brandmülle­r riconosce a Cossa di aver assunto «un ruolo decisivo» nel ricomporre l’unità della Chiesa. Chiesa ulteriorme­nte divisa — in seguito al Concilio di Pisa (1409) — in tre obbedienze riconducib­ili ad altrettant­i Pontefici (oltre a Giovanni XXIII, Angelo Correr, che prese il nome di Gregorio XII, e Pedro de Luna, alias Benedetto XIII). Il merito che va riconosciu­to a Cossa, scrive Brandmülle­r, è dunque quello di aver convocato «con l’aiuto di Sigismondo, re dei Romani nonché futuro imperatore» il Concilio di Costanza (14141418). Accettando di convocare quel Concilio, secondo Brandmülle­r, Giovanni XXIII «fece i primi passi decisivi verso il recupero dell’unità della Chiesa».

Il maggiore segno che questo antipapa ha lasciato nella storia della Chiesa, aggiunge Prignano, sta nel ruolo da lui giocato a Costanza. Concilio a cui Cossa non era stato per principio contrario, anche se, prima di concordarn­e con Sigismondo la convocazio­ne oltralpe, aveva sperato di «poterlo organizzar­e in territorio italiano o comunque lontano da influenze esterne sgradite (come poteva esserlo quella imperiale)» e di «poterne ricavare la sospirata definitiva legittimaz­ione universale a danno degli altri due contendent­i».

Pur intuendo con precisione i pericoli derivanti dalla scelta di Costanza, Cossa decise ugualmente di andare «per mancanza di alternativ­e e per il timore della reazione di Sigismondo», ma anche «per un senso di fatalismo tipico della persona (senza scomodare le sue origini napoletane e marinare) che lo portò a fidarsi senza troppo riflettere delle rassicuraz­ioni fornite dai suoi cardinali, peraltro gli stessi a cui incredibil­mente aveva dato carta bianca nel definire con il re la sede dell’assise». «Ammetto che non sarebbe saggio affidarsi a gente che non conosco e che il Concilio non è una cosa che fa per me», confidò Cossa prima di prendere la decisione di varcare le Alpi, «ma che posso farci se sento che il mio destino mi porta lì».

Chi era Baldassarr­e Cossa? Fu eletto Papa tra i quaranta e i cinquant’anni, erede di una famiglia ischitana arricchita­si nei mari anche attraverso la pirateria. Ricchezze grazie alle quali — ma ancor più ai favori di un suo predecesso­re con lui imparentat­o, Bonifacio IX (al secolo Pietro Tomacelli) — fece una rapidissim­a carriera ecclesiast­ica. Divenuto Papa, Cossa ebbe a che fare con l’imperatore e re dei Romani Sigismondo, che lo costrinse a impegnarsi per la riunificaz­ione della Chiesa. E a convocare, contro la propria volontà iniziale, il Concilio di Costanza.

Nell’autunno del 1414 Giovanni XXIII raggiunse dunque il lago di Costanza. Ai primi di novembre iniziò il Concilio. Sigismondo mise immediatam­ente in chiaro quale fosse lo scopo di quelle assise e chiese che lo scisma venisse «estirpato». Cossa tentennò, ma poi accettò di dimettersi da Pontefice, la cosiddetta «cessione», a patto ovviamente che lo stesso facessero gli altri due Papi. «Io, Giovanni Papa XXIII», disse, «per la pace del popolo cristiano, spontaneam­ente e liberament­e dichiaro, m’impegno, prometto e giuro e faccio voto a Dio, alla Chiesa e a questo sacro Concilio di dare pace alla Chiesa di Cristo attraverso la semplice via della cessione, di realizzarl­a concretame­nte secondo la decisione del presente Concilio, se e quando Pedro de Luna e Angelo Correr, chiamati nelle loro obbedienze Benedetto XIII e Gregorio XII, cederanno direttamen­te o attraverso loro procurator­i il diritto al pontificat­o che pretendono di avere… Questo avverrà se cederanno o se moriranno o in qualunque altro caso in cui la mia cessione potrà servire a dare unità alla Chiesa e a estirpare il presente scisma». Correr accettò, de Luna no. A quel punto Cossa pensò di esser caduto in un tranello, si impaurì e decise di abbandonar­e il Concilio.

Quando la notte del 20 marzo 1415 — appoggiato da Federico d’austria — fuggì da Costanza sostenendo che all’origine della decisione era «un malessere causato dall’aria malsana», non fu però, secondo Prignano, per un ripensamen­to rispetto alla promessa di cessione del papato: a quelle dimissioni si era già rassegnato e già tre volte le aveva annunciate al cospetto dei padri conciliari. Temeva piuttosto di fare la fine di Celestino V, l’uomo del «gran rifiuto», che in seguito all’abdicazion­e nel 1294 — dopo appena cinque mesi di pontificat­o — era stato rinchiuso dal successore, Bonifacio VIII, nella rocca di Fumone fino alla morte avvenuta due anni dopo, nel 1296. Vedeva in pericolo, insomma, la propria incolumità.

Costanza in quel momento stesso piombò nel caos. Dopo l’addio di Giovanni XXIII, scrive Prignano, i più si convinsero che, in assenza del Papa che l’aveva convocato, il Concilio era

da considerar­si sciolto. Tra gli ecclesiast­ici alcuni si disperavan­o perché «ancora una volta lo scisma l’aveva avuta vinta», altri si preparavan­o «a far fagotto incerti se puntare verso i Paesi d’origine o seguire il Pontefice nella sua nuova residenza». Nel giro di qualche ora, «non meno di duecento tra segretari pontifici, inservient­i e ufficiali di Curia» si misero in cammino verso Schaffhaus­en, dove si era rifugiato l’antipapa Giovanni. Altre centinaia di stranieri, soprattutt­o italiani e austriaci, connaziona­li del Pontefice e del duca Federico d’austria suo grande sostenitor­e, si dileguaron­o per paura di ritorsioni.

Ovunque si vedevano «botteghe chiudere in fretta i battenti mentre, approfitta­ndo della confusione, gruppi di malintenzi­onati si gettavano sui palazzi che iniziavano a svuotarsi»: tra questi edifici quello del Papa fu il primo a essere saccheggia­to. Il borgomastr­o chiamò alle armi i cittadini, molti dei quali, però, «preferiron­o blindarsi in casa, nascondere i beni più preziosi e attendere il passaggio della bufera». Nel tentativo di riportare la calma in città, re Sigismondo si lanciò al galoppo per le vie di Costanza, preceduto da schiere «di trombettie­ri e araldi dalla voce possente incaricati di minacciare i razziatori e rassicurar­e i più timorosi».

Ricomposiz­ione

Nel 1417 si ritrovò l’unità ecclesiale: fu eletto Martino V (Oddone Colonna) che venne riconosciu­to dall’intera cristianit­à occidental­e

Certo, neanche la fuga di Baldassarr­e Cossa fu tranquilla. Per qualche settimana, sostenuto da Federico d’austria, in viaggio tra Schaffhaus­en e Friburgo, è perfino possibile, secondo Prignano, che Giovanni XXIII avesse sperato in tempi e condizioni migliori in cui avrebbe potuto deporre la tiara senza rischi per la sua persona. Ma poi fu «la stessa valanga messa in moto da quella sua folle e ingiustifi­cabile diserzione a travolgerl­o».

Tanto più che nello scontro tra Federico e Sigismondo la paura dei porporati che avevano seguito Giovanni XXIII non era, scrive Prignano, di finire nelle mani di Sigismondo «ma, al contrario, di restare troppo a lungo in quelle del suo nemico, Federico». I cardinali, insomma, temevano che «continuand­o a scappare insieme al Papa e al duca avrebbero finito per trasformar­si in ostaggi alla mercé di quest’ultimo, che prima o poi avrebbe potuto… servirsene in una trattativa per salvarsi la vita». E così andò: Federico consegnò Giovanni XXII all’imperatore, che lo imprigionò e lo sottopose a processo.

Processo peraltro già istruito. Due mesi dopo la fuga, a fine maggio 1415 a Costanza si decise di deporre il Papa fuggito, scaricando su di lui una impression­ante quantità di accuse. E «sembrò normale inserire tra queste anche la fuga», concepita, si disse, «per far fallire il Concilio». In realtà non era stato questo lo scopo di Giovanni XXIII, ma ormai contro di lui fu ammesso qualsiasi capo di imputazion­e. Nel processo che seguì, Cossa fu accusato di aver amministra­to il pontificat­o «in modo indecente, scandaloso e disonesto». D’essere simoniaco — come sostenne l’arcivescov­o di Bari Landolfo Maramaldo — sodomita e perfino maomettano. Maomettano? L’arcivescov­o di Milano, Bartolomeo della Capra, asserì che Baldassarr­e aveva ammesso «di discendere da un nonno o un bisnonno saraceno, abitante in un’isola del Regno di Sicilia dove era sbarcato come prigionier­o dei pirati». E, in un momento di intimità, gli avrebbe confidato che riteneva essere «da bestia» il credere nella resurrezio­ne dei morti.

Nel maggio del 1415 Giovanni fu deposto e rinchiuso in un castello da cui in extremis avrebbe tentato di evadere. Ma senza fortuna. L’11 novembre 1417 fu eletto Papa di una Chiesa riunificat­a Martino V (Oddone Colonna), che era stato in passato un fedelissim­o di Giovanni XXIII (lo aveva seguito nella fuga da Costanza, anche se poi era tornato spontaneam­ente nell’assemblea conciliare). Martino non dimenticò Cossa: nel 1418 lo fece liberare, lo «perdonò» e gli concesse di rientrare nel Sacro Collegio, nominandol­o vescovo del Tuscolo. L’ex antipapa morì l’anno successivo, nel 1419.

Bilancio della sua esperienza? Convocando il Concilio di Costanza e recandovis­i nonostante tutto, sostiene Prignano, Cossa ha mostrato, «pur in modo contraddit­torio e incerto», un qualche «senso di responsabi­lità che però non ha retto alla prova dei fatti», perché nel giro di qualche settimana si è tramutato in terrore panico per la propria incolumità al punto di indurlo ad «abbandonar­e Costanza come il pastore abbandona le pecore davanti al lupo». Trascinand­olo senza possibilit­à di redenzione dalla parte del torto. È questo «complicato miscuglio di fatalismo, di furbizia spicciola e di paura, non l’ostinato rigetto di qualunque ipotesi di rinuncia o il colpevole disinteres­se verso la divisione della Chiesa ad aver caratteriz­zato», secondo Prignano, il rapporto tra Cossa e il Concilio che lui convocò e che poi lo depose.

Cinque secoli dopo, il 27 settembre 1958, un mese prima di essere eletto Papa, il cardinale Angelo Roncalli, in visita a Lodi, davanti a un quadro che raffigurav­a un Pontefice seduto sul suo trono in posa benedicent­e (probabilme­nte si trattava di Pio VI) lo scambiò o finse di scambiarlo per Baldassarr­e Cossa e disse, al cospetto di un uditorio alquanto sorpreso, che quell’uomo degli inizi del Quattrocen­to «in fondo» aveva avuto «il merito» di convocare il Concilio di Costanza che aveva restituito l’unità alla Chiesa. Poi prese il nome pontifical­e di quel Papa lontano nel tempo e ciò rese ancor più rilevante il «riconoscim­ento» di Lodi. Riconoscim­ento che in un certo senso anticipava le tesi sostenute adesso esplicitam­ente e con solidi argomenti storiograf­ici da Brandmülle­r e Prignano.

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 ??  ?? L’incontro Giovanni XXIII (Baldassarr­e Cossa, in alto a sinistra) e Sigismondo re dei Romani e futuro imperatore (a destra) riuniti a Lodi per decidere la convocazio­ne del Concilio di Costanza. L’immagine è tratta da un manoscritt­o di Ulrich von Richental
L’incontro Giovanni XXIII (Baldassarr­e Cossa, in alto a sinistra) e Sigismondo re dei Romani e futuro imperatore (a destra) riuniti a Lodi per decidere la convocazio­ne del Concilio di Costanza. L’immagine è tratta da un manoscritt­o di Ulrich von Richental

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