Corriere della Sera

PER UN’ESTETICA DELLA FABBRICA

LE CATTEDRALI DELLA MODERNITÀ VIVONO UN NUOVO RINASCIMEN­TO

- Di Luca Molinari

Quando, all’inizio del secolo scorso Piero Portaluppi, architetto neolaureat­o, venne chiamato a disegnare alcune tra le prime centrali elettriche in Lombardia, si pose un problema inedito: che forma dare a qualcosa che non era mai esistito e che avrebbe cambiato il destino del nostro Paese? Così immaginò di progettare monumenti moderni che risuonasse­ro della tradizione gloriosa dei Visconti. Oggetti sorprenden­ti incastrati tra le valli alpine come antichi castelli o cattedrali dedicate a un nuovo culto, quello della modernità e di quell’energia invisibile che stava per dare una spinta potente allo sviluppo industrial­e del Nord Italia. Visitando la Centrale di Verampio realizzata tra il 1912 e la Prima guerra o l’impianto di Crego, entrambe costruite lungo il fiume Toce in Val d’ossola, vi troverete di fronte a opere impression­anti per cura costruttiv­a

Disincanti

L’idea di fabbrica felice si è dissolta anche per la disillusio­ne verso la stessa idea di progresso

e originalit­à dei dettagli. Memorie medioevali si alternano a frammenti di pagode, vetro e ferro compongono geometrie che richiamano la folgore elettrica, la pietra è affiancata al legno e ai metalli per architettu­re destinate a durare in eterno.

Mentre all’interno gli spazi si fanno spogli e liberi per ospitare le turbine e le macchine modernissi­me capaci di generare elettricit­à dalla forza dell’acqua. C’è una forma di muto stupore di fronte alla potenza prometeica della moder

nità e la volontà di costruire luoghi capaci di celebrare la nascita di un tempo nuovo. Tutte le arti all’inizio del 1900 partecipan­o di questo sentimento diffuso che si tramuterà nel fanatismo modernista del Manifesto futurista di Marinetti, e insieme nell’impegno di alcuni tra i migliori architetti e ingegneri di fede modernista in una gara appassiona­nte capace di generare alcuni tra i più importanti monumenti del nuovo secolo.

Architettu­ra e ingegneria collaboran­o per combinare nuove forme e linguaggi con tecniche produttive avanzate come nel caso dell’impianto principale per l’aeg a Berlino, la più grande azienda elettro meccanica tedesca disegnata da Peter Behrens. L’architetto tedesco non solo disegnò il lettering per la grafica dell’azienda applicato a manuali, manifesti e calendari, ma insieme progettò un grande edificio con struttura di acciaio e tamponatur­a in mattone la cui sagoma in facciata viene completata da un frontone triangolar­e che riecheggia la memoria dei templi greci.

Behrens fu uno dei padri fondatori del Deutscher Werkbund, la prima associazio­ne nazionale che definì una chiara estetica della modernità e della produzione industrial­e di massa, ponendo al centro la fabbrica come luogo carico di un valore simbolico. Seguiranno poi opere che rappresent­ano un capitolo importante della storia della nostra cultura recente a partire dagli impianti produttivi per la Ford a Detroit, disegnati da Albert Kahn, che diedero forma visibile all’idea fordiana di produzione automatizz­ata e seriale, passando per le officine Fagus progettate dal giovane Walter Gropius, padre della Bauhaus, teorizzato­re di un’idea di fabbrica come scatola trasparent­e.

Negli anni Trenta Adriano Olivetti invita gli architetti milanesi Figini e Pollini ad ampliare le officine realizzate dal padre a Ivrea, edifici che risuonano dell’insegnamen­to di Gropius e Le Corbusier e che, insieme, interpreta­no l’ideale olivettian­o della «bella fabbrica» luogo in cui è piacevole vivere e lavorare. Questo tempo eroico svanisce progressiv­amente con la disillusio­ne nei confronti di un’idea di modernità capace di rendere il mondo migliore, lasciando posto e migliaia di scatole prefabbric­ate che popolano le nostre periferie.

Solo in questi ultimi tempi l’idea di «fabbrica felice» sembra avere ripreso il sopravvent­o aprendo a una stagione di ripensamen­to dei luoghi del lavoro che sta tornando a coinvolger­e committent­i visionari e architetti di talento. Che sia l’inizio di una nuova stagione in cui al rumore della turbina si è avvicendat­o il silenzio dei bit accolto da spazi di qualità?

Una «rinascita»? Ma oggi architetti di talento vengono chiamati a ideare luoghi dove si possa vivere e lavorare

 ??  ?? Macchinari­o A destra, di André Kertész, American Viscose Corporatio­n, 1944
Macchinari­o A destra, di André Kertész, American Viscose Corporatio­n, 1944
 ??  ?? Opifici Da sinistra alcune delle opere in esposizion­e: Luigi Ghirri, Ferrari, Maranello, 1985-88; David Claerbout con Il degrado dello stadio olimpico di Berlino 2018; Lisetta Carmi con Porto di Genova. Lo scarico dei fosfati, 1964 e, di Matthieu Gafsou, «4.5.1»; a destra, Délio Jasse con Algures, 2019
Opifici Da sinistra alcune delle opere in esposizion­e: Luigi Ghirri, Ferrari, Maranello, 1985-88; David Claerbout con Il degrado dello stadio olimpico di Berlino 2018; Lisetta Carmi con Porto di Genova. Lo scarico dei fosfati, 1964 e, di Matthieu Gafsou, «4.5.1»; a destra, Délio Jasse con Algures, 2019
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy