Corriere della Sera

Ma Salvini non ha fretta: una cottura a fuoco lento

Il leghista non ha fretta ma vede Di Maio pronto a far cadere Conte Con il boom di FDI il nodo delle quote nel centrodest­ra sui governator­i

- Di Marco Cremonesi

Salvini ora guarda alle altre Regioni perché le tensioni nel governo «ci portano voti»: li cuociamo a fuoco lento.

L’immagine è quella del Risiko. Con i carroarmat­ini che si mangiano un territorio dopo l’altro. Non ha più così fretta, Matteo Salvini, di veder cadere il governo Conte. Non dopo la clamorosa vittoria in Umbria: «Avevo scommesso qualche caffè su dieci punti di distacco, ma venti…». Ora, per qualche tempo (non troppo), Pd e 5 stelle possono sobbollire nel loro brodo: la finanziari­a in un modo o nell’altro sarà approvata, e lui potrà cannoneggi­arla ad ogni comizio e ad ogni post sui social, presentand­o al contempo la sua contromano­vra. Che, impostata come sarà sul taglio delle tasse, farà battere qualche cuore anche a un bel pezzo di elettorato non leghista.

Conte, intanto, rischia di «finire nel bozzolo» (copyright leghista). Per la vicenda dell’indagine di cui ha parlato il Financial Times oltre alla tela che, Salvini ne è convinto, gli sta tessendo intorno Luigi Di Maio: «È Giggetto — avrebbe detto ai suoi — che, dopo aver ucciso il nostro governo ora vorrebbe uccidere quello con il Pd nell’illusione di rifarsi un’illibatezz­a». Certo, se la presunta missione riuscisse, Salvini sarebbe lì per raccoglier­ne il frutto elettorale. Però, riflette il segretario leghista, le tensioni dentro al «governo che la gente non vuole» sono utilissime «a portare la gente a votare, e a votare noi». Come l’umbria avrebbe dimostrato anche con l’alta affluenza alle urne.

Per questo Salvini ha chiesto le dimissioni di Di Maio («Se conduce la politica estera come il suo partito, finiamo in guerra con l’uzbekistan», ghigna un suo strettissi­mo collaborat­ore) ma, in realtà, non quelle di Conte. Certo, secondo Salvini «se quello che scrive il Financial Times fosse solo parzialmen­te vero, in qualsiasi Paese ci sarebbero le dimissioni tre minuti dopo». E il capo leghista non esita a definire il presidente del Consiglio «un omino». Ma passi concreti nei confronti del capo del governo, almeno per il momento, non ce ne saranno.

Perché, appunto, non c’è tutta questa fretta. Va molto bene anche vincere le prossime regionali una dopo l’altra. I leghisti canticchia­no «Senza pietà» di Anna Oxa: «Terra dopo terra, ogni tua fortezza io assalto...».

Ma la partita umbra apre anche una questione nella «Coalizione degli italiani», alias del centrodest­ra. Silvio Berlusconi con il suo 5 per cento sembra ai suoi alleati una questione non pressante e sia Salvini che Giorgia Meloni gli rendono l’onore delle armi apprezzand­one genuinamen­te lo stile per le chiamate di congratula­zioni nei loro confronti. Eppure, il nuovo protagonis­mo della leader dei Fratelli d’italia richiederà a breve una discussion­e tra i leader e tra i partiti. Non tanto perché la Lega in Umbria ha perso un punticino rispetto alle scorse elezioni. Ma FDI oltre il 10% è un fatto nuovo che il partito della Meloni farà pesare. Durante la discussion­e sulla presidenza del Copasir, finita poi al leghista Raffaele Volpi, sul tavolo c’erano anche i candidati governator­i: alla Lega Emilia-romagna e Umbria, a Forza Italia Campania e Calabria, a FDI Puglia e Marche. E il boccone grosso, la «rossa» Toscana? La questione era rimasta in sospeso. Ma ora, Salvini ci punta dritto. E Giorgia Meloni? Pure.

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Ironia social Matteo Salvini e il tweet «perugino» al governo

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