La Lega riapre il dossier Roma «Quello è il loro punto debole»
Il risiko del nome per il dopo Raggi. Il leader pensa a Meloni, lei si sfila. Ipotesi Tajani
ROMA «Da adesso si fa sul serio. Dobbiamo attaccare Pd e M5S soprattutto là dove possiamo dividerli. E c’è un punto dolente in cui possiamo colpirli facilmente, ancor più che sull’attività di governo». L’intuizione, a cui Matteo Salvini pensava da tempo, viene condivisa con lo stato maggiore leghista lunedì mattina, dopo la vittoria umbra. Da esperto di comunicazione politica qual è, l’ex vicepremier sa che puntare il mirino solo sull’azione di governo e la voglia di «spallata» può diventare una litania stancante, anche per l’elettorato più amico. Da qui l’idea di mirare dritto su quel punto della cartina geografica che già parecchie tensioni ha creato all’asse M5SPD. E cioè sulla Roma di Virginia Raggi. La Raggi sopportata a intermittenza dal suo stesso Movimento, la Raggi che — dopo alcune dichiarazioni poi rettificate da Zingaretti — aveva riacceso una discussione all’interno del Pd.
L’«operazione Roma», che Salvini aveva abbandonato un anno fa dopo averla avviata con la visita a San Lorenzo all’indomani dell’uccisione di Desirée Mariottini, viene riportata al centro della scena. Diventa il tassello di un gioco politico più grande, per l’ex ministro dell’interno. Che, non a caso, ieri ha iniziato la sua campagna per la Capitale. «I pieni poteri per Roma? Il problema è che puoi anche dare il mantello a Di Maio e Zingaretti, ma non è che diventano Batman», ha detto. Qualche ora prima, sempre alla radio, aveva mandato l’avviso di sfratto a Virginia Raggi («Prima se ne va meglio è») ed evocato una candidatura a sindaco che «ho già in mente, ma non posso fare nomi».
Già, i nomi. Tra i desiderata di Salvini il primo è quello di
Giorgia Meloni, che gli consentirebbe di prendere i canonici due piccioni (provare a prendere il Campidoglio e togliere dallo scacchiere nazionale la numero due virtuale della coalizione) con una sola fava. Ed è un disegno che dev’essere arrivato all’orecchio della leader di FDI, tanto è vero che ieri mattina l’ha smentito: «Non penso che mi ricandiderò a sindaco di Roma». Che le riflessioni siano già in corso lo dimostrano le parole di Barbara Saltamartini, esponente di primo piano della Lega capitolina, reduce dai successi come commissaria leghista a Terni e provincia: «La Raggi potrebbe cadere prima. E comunque, anche se non cade, ormai manca un anno e mezzo. Quindi ci siamo...».
Nel perimetro del centrodestra si inizia a ragionare sull’ipotesi di affidare la nomination per il Campidoglio alle primarie. Anche se, all’interno della Lega, si fa strada lo scenario che vede Salvini «cedere» la candidatura del dopo Raggi a un non leghista. A chi? Molti indizi, nei giorni del riavvicinamento tra Lega e FI, sembrano portare ad Antonio Tajani, che già nel 2001 aveva corso per il Campidoglio perdendo al ballottaggio contro Veltroni. Se la strada è praticabile, però, solo il tempo lo dirà.
Le divisioni
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