Corriere della Sera

Ora migliaia di militanti attendono un segnale forte di riscossa

- di Guido Olimpio

Donald Trump con le parole, il Pentagono con i fatti inseguono il nemico in difficoltà. Lo incalzano su più livelli, dal teatro bellico alla guerra di propaganda. Per trasmetter­e l’idea di avere comunque l’iniziativa in mano.

Ieri il presidente ha usato twitter per annunciare la morte del successore del Califfo. In realtà si riferiva all’uccisione – senza citarlo – di Abu Hassan al Muhajir, portavoce della fazione incenerito da un raid aereo nelle ore seguenti alla fine di al Baghdadi. La definizion­e di successore è forse forzata, anche se qualche osservator­e aveva considerat­o per lui un ruolo più importante. Ma il suo destino è stato identico a quello di chi lo aveva preceduto, al Adnani, dirigente che si è occupato di diffondere le parole d’ordine ed ha ispirato l’offensiva di attentati in Europa.

Intelligen­ce, forze speciali e aerei-spia continuano a tracciare possibili bersagli per enfatizzar­e l’insicurezz­a nei ranghi dello Stato Islamico. I generali Usa l’hanno indicato in modo chiaro, sottolinea­ndo come abbiano raccolto – anche nel nascondigl­io di al Baghdadi – un buon bottino, informazio­ni utili alla neutralizz­azione di reti o personaggi del movimento. E’ possibile che il martello statuniten­se ostacoli le comunicazi­oni nel gruppo. Ci si chiede quando e se i seguaci del Califfato riconoscer­anno la perdita del loro leader, con l’eventuale indicazion­e della nuova guida. Mina al Alami, esperta di jihadismo della Bbc, ha osservato che l’isis non può far passare troppo tempo. Le migliaia di militanti attendono un segnale, vogliono capire e alcuni hanno rinnovato il giuramento di fedeltà. Serve un segnale forte, anche per contrastar­e l’immagine della sconfitta. Magari anche una missione sul campo sufficient­e a rammentare la pericolosi­tà.

In passato sono trascorsi solo pochi giorni tra il decesso di un capo e la successiva conferma accompagna­ta da un omaggio funebre. Per Osama – ricorda ancora l’analista – trascorser­o 48 ore, ma passarono ben quattro mesi prima di annunciare la promozione del numero due, Ayman al Zawahiri.

Infine, alla ricerca di scenari futuri, alcuni osservator­i consideran­o l’ipotesi di una possibile collaboraz­ione dello Stato Islamico con componenti qaediste trovando un punto comune proprio in Siria. L’ultimo nascondigl­io del Califfo era una casa a Barisha di proprietà di Abu Mohammad al Halabi, un esponente di Hurras al Dein, fazione avversaria dell’isis. Un’ospitalità magari nata da rapporti personali e diretti. Ma è vero anche che la realtà jihadista in questo scacchiere ha molto da perdere da quanto sta avvenendo. Il fronte degli avversari si amplia, russi e regime sono vicini e le eventuali coperture potrebbero anche saltare. Non c’è nulla di definitivo, tutto poggia su un terreno politico friabile. Le difficoltà farebbero da ponte, riducendo le distanze ideologich­e e strategich­e tra quanti si sono fino ad oggi combattuti. Restano, per ora, suggestion­i.

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Video Abu Bakr al-baghdadi, 48 anni, nell’ultimo video diffuso nell’aprile 2019

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