IL RAZZISMO NON È IN NOI SI INSEGNA E SI IMPARA
Caro Aldo,
ma come si fa, razionalmente, ad essere razzisti? Credo che molta parte della nostra umanità non abbia consapevolezza di sé e degli altri. In fondo, volendo filosofeggiare, ciascuno di noi non è e diviene «semplicemente e casualmente» per quanto impara da ciò che la sua vita gli insegna? Né più né meno. Fatte salve le immancabili singole tare caratteriali, la cosa vale per tutti in qualunque luogo di nascita in questo piccolo e inquinato mondo. Da polo a polo passando dall’equatore. Puoi credere in qualunque profeta di qualunque dio ma la regola è sempre la stessa. Educazione, usi e costumi ti renderanno quello che sei. Ed è di questo che dovrai o dovresti aver consapevolezza quando guardi gli altri e te stesso. Tutti e ciascuno diversamente uguali. Sbaglio?
Mario Taliani, Noceto
Caro Mario,
Sono convinto che il razzismo non sia insito nell’uomo, ma sia una costruzione culturale. Non si eredita né si trasmette di padre in figlio. Si insegna e si impara. Qualche volta andavo a prendere mia figlia in un quartiere periferico di Roma, dove faceva volontariato per la comunità di Sant’egidio. Ricordo una bambina nera che piangeva disperata e un bambino che la abbracciava dicendole: «Non fare così, sembri un cioccolatino che si scioglie!». Qualcuno la troverà una frase politicamente scorretta; a me pare piena di poesia. Era un bambino triste per aver visto una sua coetanea in lacrime. Non ignorava che lei avesse la pelle di un colore diverso dal suo; registrava la cosa come un evento naturale, come il sole che sorge e tramonta, privo di implicazioni. A un livello ovviamente diverso, Obama aveva tentato di ragionare così.
Non si è mai presentato come «il primo presidente nero». Si è presentato come il nuovo presidente, incidentalmente nero. Però la storia americana ha preso un’altra direzione: nella vittoria di Trump c’era anche una componente malcelata di «rivincita» razziale.
L’italia non ha una tradizione razzista. I razzisti però esistono. Esiste la xenofobia, e cresce. Mi rifiuto però di pensare che la nostra gente abbia perso la sua umanità.
Le racconto, caro Mario, un piccolo episodio. Una signora filippina che fa la portinaia a Roma ha ospitato per un mese la sorella, che fa l’infermiera a Dubai. Il mattino della partenza l’ha trovata in lacrime. Minacciava di incatenarsi al cancello. Non voleva saperne di tornare a Dubai; voleva a ogni costo restare in Italia. Non saremo «brava gente» come vuole il luogo comune. Ma non siamo diventati cerberi.