Nuova identità di Schwarzy Sorpresa della saga cyborg
James Cameron autore della trama: donne protagoniste e colpi di scena
D imenticate gli ultimi tre — Terminator 3 - Le macchini ribelli (2003), Terminator Salvation – L’inizio della fine (2009) e Terminator Genisys (2015) — adesso si ricomincia quasi dall’inizio. Ma non con un reboot, una ripartenza lungo la strada battuta per esempio da Spider-man. No, questa volta siamo di fronte a una nuova declinazione femminile (femminista sarebbe chiedere un po’ troppo) della saga cyberpunk, capace di ritrovare se non la meraviglia degli esordi del 1984 per lo meno l’entusiasmo per l’avventura e la carica epica che avevano fatto la differenza del primo Terminator. E più per merito di James Cameron, qui produttore ma soprattutto co-autore del soggetto, che del regista Tim Miller (già poco incisivo nel suo esordio con Deadpool).
È probabilmente tutta farina del suo sacco (di Cameron), l’idea di cancellare in un colpo le divagazioni fantascientifiche che avevano inseguito le ultime declinazioni della franchise, persa dietro poco interessanti scenari di guerre e di ribellioni. E insieme di non aver schiacciato troppo il pedale sulle possibilità che offrono le tecnologie digitali, capaci di essere talmente invasive da soffocare il piacere dell’avventura e il gusto della sorpresa: in questo Terminator – Destino oscuro hanno naturalmente un peso ma non diventano le protagoniste del film (vedi la vaghezza che circonda il «potenziamento» fisico di Grace) nemmeno nel definire le possibilità del micidiale Rev-9 venuto a seminare danni sulla Terra, di cui colpiscono di più l’abiliuna tà e la determinazione del cacciatore che le continue «rinascite» digitali.
Diciamolo: la vera trovata del film è un’altra, è il ritorno di due «vecchi» della serie, Linda Hamilton e Arnold Schwarzenegger, la prima (63 anni) con tutte le sue belle rughe in faccia e la solita abilità con le armi, il secondo (72 anni) con la barba incanutita e trasformato per l’occasione in un tappezziere con un certo gusto per l’arredamento, capaci di dare al film il passo che era mancato nelle ultime avventure.
La storia, dopo un brevissimo résumé sul destino di John Connor, inizia con un doppio arrivo dal futuro: da parte l’umana potenziata Grace (Mackenzie Davis) e dall’altro il cyborg da combattimento Rev-9 (Gabriel Luna). Siamo in Messico, nel 2020, e la donna deve difendere l’ignara Dani (Natalia Reyes) dalla missione omicida del cyborg. Perché la ragazza sia diventata il bersaglio di una tale lotta lo si scoprirà più avanti, ma è indubbio che aver scelto come persona da salvare una messicana autorizzi più di una lettura antitrumpiana, soprattutto perché, più avanti nella storia, vedremo lei e gli «eroi positivi» del film attraversare il muro che divide gli States dal Messico e finire nelle gabbie che imprigionano gli immigrati clandestini. Dove si daranno da fare per organizzare una specie di evasione di massa.
Ad aiutare Grace e Dani arriverà quasi subito Sarah Connor (Linda Hamilton), votatasi alla caccia dei cyborg dopo aver perso il figlio, mentre bisognerà arrivare a metà dei 128 minuti del film per incontrare Schwarzenegger, la cui nuova identità sarà una simpatica sorpresa per tutti. Senza eccedere in divagazioni spazio-temporali o spiegazioni fanta-filosofiche il film trova la sua nuova chiave nella solidarietà femminile che si instaura fra le tre protagoniste — la veterana, l’indistruttibile e la neofita — capaci di cavalcare i sussulti femminili della nuova Hollywood senza eccedere nell’orgoglio di genere o sul coté femminista. Anche se è indubbio che alla fine siano le donne a uscire meglio da questa avventura.
E quello che si diceva prima, sull’utilizzo con juicio delle possibilità offerte dalla tecnologia digitale (qui impiegate in una forma nemmeno troppo eclatante, privilegiando i colori cupi e scuri rispetto a quelli ben più splendenti del metallo di cui era fatto il cyborg di Terminator 2), permette al film di puntare soprattutto sui colpi di scena, sulle svolte della storia e, in fondo, sullo spirito epico di un’umanità che sente il dovere di combattere anche contro un nemico apparentemente indistruttibile. Con tanto di guadagnato per lo spettacolo.
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La tecnologia digitale privilegia i colori cupi Al centro della storia lo spirito epico di un’umanità che lotta contro un nemico che sembra invincibile