Corriere della Sera

«Il futuro di Torino non è la decrescita felice»

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La storia recente di Torino l’ho vissuta con la partecipaz­ione, appassiona­ta, di chi nella sua industria eponima (e dintorni) ha lavorato per più di vent’anni, e con quella, ragionata, su ciò che la politica deve fare: creare le condizioni per cui chi ha un progetto lo realizzi, e chi ha un’impresa la sviluppi. La politica degli anni passati ha avuto indubbi meriti: di fronte alla botta tremenda di perdere oltre 100.000 posti di lavoro, ha avuto idee, ha saputo indicare altri orizzonti di sviluppo. Ma è stata anche autorefere­nziale, invece di preparare il ricambio generazion­ale ha puntato a lungo su personaggi di indubbio carisma; non ha fatto leva sull’autonomia dei centri territoria­li che fanno cultura, dal Regio al Museo del Cinema, sedotta ancora dalla mitologia del potere pubblico che tutto governa. Mancanze che impallidis­cono di fronte a quelle della maggioranz­a politica che esprime l’attuale sindacatur­a. Avere disdegnato le Olimpiadi è stato un danno reale; avere approvato, da parte del Consiglio Comunale, la mozione No-tav è stato un segnale deleterio a cittadini e imprendito­ri: anche all’ombra della Mole l’idea dominante è che la crescita è una tentazione demoniaca a cui si deve resistere, e che di quanti hanno esperienza e competenza si deve diffidare. Torino può contare su grandi vantaggi comparati: nei saperi, quelli tradiziona­li della manifattur­a e quelli nuovi delle tecnologie digitali; nelle dotazioni culturali, oltre quelle eccezional­i dell’egizio e della Venaria; nel clima e nel paesaggio; nella razionalit­à della sua topografia; nella cultura, in senso civico e in senso borghese. Basta non cercare di convincere tutti che il suo futuro è la decrescita felice.

Franco Debenedett­i

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