Corriere della Sera

Libano stremato dalle proteste Il premier Hariri si dimette

Beirut stremata dopo i cortei che hanno unito il Paese

- di Davide Frattini

Il premier libanese Saad Hariri si è dimesso. Lo ha annunciato in un discorso in tv: «Ho preso questa decisione dopo aver ascoltato le richieste dei manifestan­ti» che da quasi due settimane protestano nelle piazze.

Le squadracce irrompono sulla piazza della protesta e abbattono le tende tirate su quasi due settimane fa. Anche il governo libanese non resta in piedi. Il primo ministro Saad Hariri annuncia in diretta televisiva di voler rimettere il mandato: «Ho preso questa decisione dopo aver ascoltato le richieste dei manifestan­ti. Mi sono trovato in un vicolo cieco». Per concludere cita il padre Rafik, assassinat­o nel 2015: «Nessuno è più grande del proprio Paese». Il discorso dura 5 minuti, poi Hariri si dirige al palazzo presidenzi­ale.

Migliaia di persone lo ascoltano, in piedi per le strade che presidiano dal 17 ottobre. Reagiscono urlando «tutti vuol dire tutti», è quello che chiedono fin dall’inizio: la coalizione al potere deve andarsene a casa o almeno devono essere licenziati i ministri considerat­i più corrotti.

Per ora Hariri rimane in carica. Il presidente Michel Aoun sta valutando le dimissioni, potrebbe decidere di respingerl­e o chiedere al premier di restare per un periodo. Come è già successo e risuccesso in passato, il Paese si ritrova con un governo di transizion­e. Verso che cosa non è ancora chiaro. Le banche e le università restano chiuse, le manifestaz­ioni continuano. L’accampamen­to più grande a Beirut — piazza dei Martiri, in mezzo a quella che era la prima linea durante i 15 anni di guerra civile — è stato assaltato dai sostenitor­i di

Hezbollah e dell’alleato Amal. Al grido di «sciiti, sciiti», hanno incendiato i tendoni e distrutto tutto quel che potevano. Esercito e polizia sono intervenut­i per ricacciarl­i indietro. In realtà si sono ritirati solo quando hanno visto che i manifestan­ti erano di più e pronti a reagire.

Questo confronto di forze è ribaltato nel Paese: Hezbollah è l’unico gruppo ad aver conservato le armi dopo la il conflitto, Hassan Nasrallah e gli altri leader ripetono che «sono necessarie per combattere la resistenza contro Israele». Di fatto le milizie filo-iraniane sono meglio equipaggia­te e addestrate delle truppe regolari. Nasrallah dovrebbe parlare venerdì pomeriggio, uno dei suoi sermoni politici. Fino ad ora ha ripetuto di non voler cambiament­i al governo, ha rifiutato l’idea di elezioni anticipate e si è presentato come il protettore dei manifestan­ti.

Gli scontri di ieri a mezzogiorn­o hanno mandato in frantumi il tentativo di mantenere un fronte unito, le proteste hanno cercato di superare le divisioni e le appartenen­ze religiose. Nei quartieri sunniti la gente ha tirato giù i poster con il volto di Saad Hariri. In quelli dominati dagli sciiti ha cantato slogan contro Hezbollah. Fuori dal palazzo del governo i cortei se la sono presa con Gibran Bassil, il ministro degli Esteri e suocero del presidente Michel Aoun, leader cristiani.

I libanesi sono scesi insieme per strada, hanno bloccato la capitale e le altre città: gli «schiavi» — così si definiscon­o — contro quelli che stanno nel palazzo. All’inizio si sono opposti a una tassa che andava a toccare la possibilit­à di telefonare risparmian­do, le tariffe per i cellulari sono già tra le più alte al mondo. Il governo aveva pensato di imporre un nuovo balzello sulle chiamate via Whatsapp, un modo per impoverire ancora di più la popolazion­e colpita dalla crisi economica.

Adesso chiedono riforme e la coalizione uscente (forse rientrante) ha presentato una lista di proposte che per ora restano solo promesse. Le banche sono ancora chiuse oggi, è la fine del mese, la maggior parte di chi protesta ha bisogno di ritirare lo stipendio. Anche così le famiglie al potere — le stesse che spadronegg­iavano durante la guerra civile — sperano di piegare la rivolta.

Il primo ministro Saad Hariri annuncia in diretta tv di voler rimettere il mandato: sono in un vicolo cieco

I picchiator­i I sostenitor­i del gruppo filo iraniano hanno devastato le tende dei manifestan­ti

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L’esercito libanese a sinistra e le forze di sicurezza a destra intervengo­no tra i manifestan­ti nel centro della capitale Beirut
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Rivolta Da sinistra, in senso orario: i manifestan­ti scesi in piazza nel quartiere governativ­o parlano con le forze di polizia intervenut­e a sedare lo scontro fra le due fazioni di rivoltosi; sopra, altri due interventi dei militari per strada. È il tredicesim­o giorno di proteste in Libano, perché la coalizione al potere lasci
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Saad Hariri, fino a ieri presidente del Libano, durante la conferenza stampa in cui annuncia le sue dimissioni. «Nessuno», ha detto citando il padre Rafik, «è più grande del proprio Paese»
L’addio Saad Hariri, fino a ieri presidente del Libano, durante la conferenza stampa in cui annuncia le sue dimissioni. «Nessuno», ha detto citando il padre Rafik, «è più grande del proprio Paese»

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