Corriere della Sera

Le lacrime del papà di Luca «È morto senza sapere perché»

Roma, il genitore: era un ragazzo pulito, se Anastasiya ci ha mentito è un’attrice

- Valeria Costantini Rinaldo Frignani

«Perché voi sapete cosa fanno i vostri figli quando escono di casa?». Alfonso Sacchi lo dice con la voce ferma, vincendo l’emozione, il dolore, lo strazio. Mette via il fazzoletto bianco con il quale fino a poco prima ha asciugato le lacrime, premendose­lo sul volto per ritrovare un po’ di calma. Poi risponde alle domande della platea di giornalist­i che i suoi avvocati Armida Decina e Paolo Salice hanno convocato in un salone dell’appia Park Hotel, a circa tre chilometri dal luogo del delitto. E allora, in certi momenti, anche per chi lo ascolta è difficile sostenere il suo sguardo. Quello di un padre attonito che chiede giustizia per il figlio, ucciso otto giorni fa all’appio Latino in una compravend­ita di droga finita male, dicono gli inquirenti.

Il pensiero fisso è per la fidanzata del 24enne, Anastasiya Kylemnyk, personaggi­ochiave di tutta la storia. «Se ci ha mentito, allora è meglio di un’attrice di Hollywood», spiega il papà di Luca. «Per noi è come una figlia, ci siamo abbracciat­i a lungo, abbiamo pianto tutti insieme, dopo essere stata dimessa dall’ospedale è venuta a dormire da noi. Non aveva più il collarino ortopedico. “La camera di Luca sarà la tua”, le ho detto — rivela ancora Sacchi —. Poi da sabato scorso ci siamo sentiti solo per telefono. Non so perché. Credo — si augura — che con questa storia non c’entri niente, altrimenti a dolore si aggiungere­bbe dolore. So che faceva la baby sitter, che lavorava in un ristorante dove i clienti le affidavano i bambini, quindi perché non avere fiducia in lei?». Domanda dopo domanda affiorano dettagli sul personal trainer. «Luca era un ragazzo pulito, un atleta. Non faceva uso di droghe, lo testimonia il fatto che ci hanno fatto donare gli organi. Non aveva problemi di soldi, si occupava di una casa-vacanza che gli avevo affidato dopo gli studi — racconta il ristorator­e di via delle Coppelle, in centro —. Ma non indagavo sui suoi amici, anche perché erano quasi tutti di vecchia data e persone perbene. Uno, Nicholas, studente in Spagna, è svenuto alla notizia della morte di mio figlio. Da cinque-sei mesi mi aveva detto che fra le frequentaz­ioni c’era anche Giovanni Princi, già suo compagno di scuola. Andavano insieme a Latina a correre in moto in pista, preferivo così perché è più sicuro che in strada. Lui a casa nostra non è mai venuto». E ancora: «Luca si fidava troppo delle persone, io gli dicevo di stare attento e di badare a suo fratello minore».

Princi è il ragazzo che quella sera si trovava davanti al John Cabot Pub e viene considerat­o il contatto del gruppo di amici di Luca e la sua fidanzata con Valerio Del Grosso e Paolo Pirino, in carcere per l’omicidio, che avrebbero dovuto portare la marijuana alla comitiva ottenendo in cambio una somma di denaro custodita nello zainetto della giovane poi rapinato dalla coppia arrivata da San Basilio. Da qui la reazione di Luca e Del Grosso che preme il grilletto della pistola uccidendol­o. A sconvolger­e ancora di più il padre del 24enne è che «Luca è morto senza sapere perché. Io e mia moglie dormiamo con il suo pigiama accanto, indosso i suoi vestiti per trovare un po’ di coraggio. Mi sveglio in piena notte e sento suo fratello piangere nella stanza accanto. Ho ancora in mente — conclude Sacchi — l’ultimo abbraccio, la sera in cui non è più tornato. “Ti voglio bene”, gli ho detto baciandolo. Non lo facevo spesso, lui era il maggiore, magari si vergognava. Adesso chiedo solo giustizia, di sapere cosa sia successo quella sera. Non me lo ridarà indietro, ma mi porterà un po’ di sollievo».

L’ultimo abbraccio «Quella sera l’ho baciato e gli ho detto ti voglio bene, non lo facevo spesso»

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(Mario Proto) Dolore Alfonso Sacchi è il papà di Luca, il 24enne ucciso la scorsa settimana a Roma

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