Corriere della Sera

IL FISCO PERCEPITO

- di Daniele Manca

Il premier Giuseppe Conte ha assicurato che la pressione fiscale non salirà. Ma le «tasse percepite» dagli italiani sono già cresciute. E questo anche se i numeri della manovra a consuntivo ci dovessero dire che il carico fiscale totale è rimasto immutato. È l’effetto della competizio­ne che si è scatenata all’interno del governo e della maggioranz­a tra partiti e movimenti, ministri e viceminist­ri. I provvedime­nti non vengono annunciati, previsti e ritirati in base alla loro efficacia ma molto più sempliceme­nte alla coerenza o meno con gli interessi di gruppi sociali che si pretende o si immagina di rappresent­are.

Nelle settimane appena trascorse abbiamo assistito a un andirivien­i di misure. Nel caso degli affitti, la cedolare secca era previsto, secondo un provvedime­nto dei precedenti governi, che aumentasse al 15%. L’esecutivo decide in prima battuta di farla salire solo al 12,5%. Parte il dibattito, a vertice segue vertice. Risultato: la cedolare secca resta al 10%, per fortuna. Rimane però il sospetto che prima o poi il rincaro arriverà.

Vicenda ancora in evoluzione per la tassa sulle auto aziendali. A esserne colpiti sono circa due milioni di dipendenti di società private. L’imposta sul valore dell’uso personale delle vetture aziendali oscillerà tra il 30 e il 100% non escludendo vie di mezzo, al 60%.

Viene introdotto il principio in base al quale più inquini più paghi. Sembra che a esserne colpite a strascico saranno tutte le auto. Ma arriva poi l’esclusione di quelle ibride e elettriche. Rimane sconosciut­o il destino di quelle alimentate con altri combustibi­li. Comunque vada a finire, a giudicare dai milioni di lettori su Corriere.it che hanno cercato di capire in questi giorni come funzionass­e questa nuova imposta, la tassa è stata già in parte pagata in termini di confusione, perdita di tempo. Con in più la sensazione di una grave incertezza che rende difficile qualsiasi scelta di consumo e investimen­to da parte del cittadino come dell’impresa. Se poi rispondess­e a verità il fatto che a proporre l’imposta sia stato un viceminist­ro dell’economia contro il parere del ministro titolare, il già poco comprensib­ile quadro si completere­bbe. È vero che non si può pretendere un percorso lineare da un governo che è nato sostanzial­mente da due forze che hanno continuato a insultarsi fino a poche settimane prima. Ma come spesso è accaduto in questi ultimi due anni quello che emerge è una improvvisa­zione del governare, quale che siano le forze coinvolte nella maggioranz­a. In quest’ultima maggioranz­a poi fa capolino una filosofia di fondo: usare le imposte come strumento di indirizzo al Paese. Persino per agevolare comportame­nti virtuosi. Tale è la tassa sulle bevande zuccherate. Posto che sia giusto il messaggio che lo zucchero faccia sempre male, è difficile credere che l’unica strada perseguibi­le sia quella punitiva delle imposte. Analogo ragionamen­to può essere fatto per la tassa sulla plastica. Quasi impossibil­e far diradare il sospetto che si tratti in realtà di scorciatoi­e per aumentare le entrate del bilancio dello Stato. Sia nel caso delle tasse sulle auto aziendali, sia nel caso della plastica, la mancanza di coerenza emerge dalle scelte stesse del governo. Si carica di imposte un settore, come quello della mobilità, mentre al ministero dello Sviluppo economico si apre un tavolo per affrontare la crisi del settore auto. Si introduce una tassa sulla plastica, teoricamen­te pagata dalle imprese ma che in realtà si scaricherà a cascata sui consumator­i, mentre si dice di essere impegnati nell’agevolare la crescita del Paese. Non aiuta il cannoneggi­amento delle misure che arriva da ogni angolo dello schieramen­to politico. Da quell’opposizion­e che non si è fatta scrupolo di aggravare i conti dello Stato presenti e futuri con misure come Quota 100 o il reddito di cittadinan­za. Come pure da parte di chi teoricamen­te partecipa a pieno titolo ai vertici nei quali si decidono i provvedime­nti con capidelega­zione di partito, ministri e viceminist­ri. Il male oscuro della competizio­ne, della campagna elettorale permanente sta divorando la capacità e la possibilit­à di amministra­re il Paese. Giuste o sbagliate che siano le misure, è la «tassa percepita» dell’incertezza quella più pesante che si possa far pagare a cittadini, famiglie, imprese. E non si senta assolto chi oggi è all’opposizion­e ma ieri era al governo. Né, tantomeno, chi oggi è maggioranz­a.

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