La famiglia di Andrea contro Boeing «Sapevate che l’aereo era difettoso»
Massa, i genitori della vittima italiana del disastro del 737 in Indonesia fanno causa
La stanza del figlio, nella casa a Massa, è ancora come l’ha lasciata lui un anno fa. I vestiti. Il letto. Gli attrezzi della passione di una vita — la bici — diventata anche un lavoro. S’è aggiunta soltanto una valigia spedita dall’indonesia. L’unica cosa sopravvissuta il 29 ottobre 2018 all’inabissamento del Boeing 737 Max di Lion Air al largo di Giacarta. In quel velivolo, nella fila 32 a sinistra, era seduto Andrea Manfredi, 26 anni, il solo passegcontro gero non indonesiano tra le 189 vittime. «Per Andrea doveva essere una deviazione breve, nella città d’origine di un amico del posto», ricordano mamma Sonia, 46 anni, e papà Maurizio, 50. Lui non è mai tornato. La valigia sì. Con all’interno un regalo per la sorella gemella Linda, «un cappotto che a lei piaceva tanto».
Andrea era stato un ciclista. Dopo una sessantina di gare aveva smesso, ma senza abbandonare le due ruote fondando Sportek per la vendita di articoli sportivi. «Ci andiamo tutti i giorni in camera sua», raccontano i genitori. «Guardo le sue foto sui social, rivedo i video su Youtube in cui ci ringrazia dopo aver vinto una gara — aggiunge il papà —. Sto male, poi sto bene».
Decollato alle 6.20 del mattino dalla capitale indonesiana (le 00.20 in Italia) con destinazione Pangkal Pinang il Boeing 737 Max della low cost asiatica ha fatto perdere le sue tracce dopo tredici minuti. Per ventisei volte i piloti hanno lottato contro il sistema anti-stallo che portava erroneamente giù il muso del velivolo perché riceveva informazioni sballate da un sensore esterno. Il meccanismo, chiamato «Mcas», non era stato inserito nei manuali di volo. Comandante e primo ufficiale ne ignoravano l’esistenza.
Secondo il rapporto finale dell’inchiesta — pubblicato lo scorso 25 ottobre — Boeing e Lion Air hanno avuto delle responsabilità. Tre giorni dopo la famiglia di Andrea — assistita dagli avvocati Filippo Marchino e Margherita Giubilei dello studio legale californiano The X-law Group — ha depositato al tribunale di Chicago una causa di 83 pagine
I fatti
G Alle 6.20 del mattino del 29 ottobre 2018 (le 00.20 in Italia) il Boeing 737 Max di Lion Air decolla da Giacarta, Indonesia, con 189 persone a bordo
G Dopo 13 minuti si inabissa al largo della città asiatica: il difetto a un sensore ha attivato il sistema antistallo che ha portato giù il muso del jet Boeing. Sarà l’unico contenzioso legale negli Usa: le altre vertenze, per un principio anglosassone, passeranno per i tribunali indonesiani data la nazionalità delle altre vittime. I legali accusano il colosso aerospaziale americano di aver venduto un aereo difettoso, di averlo consegnato alle compagnie senza far sapere che c’era il sistema antistallo, di non aver spiegato ai piloti come spegnerlo e di aver costruito un software che privilegiasse il computer nei «conflitti» con l’uomo. I genitori sperano che il figlio possa diventare il paladino di tutti i morti di quel volo. «Vogliamo venga fatta chiarezza, il mondo deve sapere cos’è successo, l’incidente era evitabile».
Andrea «era il perno economico
In Asia Andrea Manfredi, 26enne di Massa, a Hong Kong il 19 ottobre 2018: dieci giorni dopo perde la vita in Indonesia nello schianto aereo della famiglia». Aveva avviato una ditta edilizia che gestisce il papà e aperto un negozio di antiquariato affidandolo alla mamma. Nell’ottobre di un anno fa era andato a Hong Kong e in Indonesia per lavoro. «Doveva tornare il 1° novembre». L’ultima volta si sono sentiti prima del decollo. «Appena atterro vi avverto», le ultime parole. Poi il silenzio. Nessuna telefonata alle 8 del mattino al papà, come faceva sempre. Nessun accesso a Messenger nelle ultime dieci ore. Il cellulare irraggiungibile. «Poi sono andata su Facebook e ho letto di questo incidente», aggiunge la mamma. Non lo collega alla sorte di suo figlio, «ma avevo questa sensazione per nulla positiva». Fino a quando, tornando a casa, si ritrova all’ingresso i carabinieri, i funzionari della Farnesina, un’ambulanza. Sullo sfondo, mentre ai genitori viene spiegato quel che si sa, i quattro cani abbaiano: tra loro c’è anche Cocò, «il preferito di Andrea».
«Penso agli ultimi minuti di mio figlio su quel volo, a quello che può aver provato e pensato — si dispera la donna —. È morto da solo, senza nessuno che conoscesse al suo fianco. Mi perseguita, non riesco a darmi pace».
Il 10 marzo 2019 un Boeing 737 Max di Ethiopian Airlines si schianta dopo il decollo vicino ad Addis Abeba. Perdono la vita in 157, di cui 8 italiani. Nei tre giorni successivi le autorità di tutto il mondo mettono a terra l’aereo. Oltre sette mesi dopo i 737 Max sono ancora fermi.