Corriere della Sera

UN’ITALIA CHE SCEGLIE L’INCIVILTÀ

Segnali negativi Capita ormai ogni giorno di dovere sottostare ai comportame­nti offensivi, aggressivi, illegali, talora violenti, di troppi nostri concittadi­ni

- Di Ernesto Galli della Loggia

Non si tratta solo di Roma. Della Roma criminale che ha visto l’ennesimo omicidio per una storia di droga. È un clima generale quello che ormai in Italia rende sempre più difficile per tutti affrontare la fatica della vita quotidiana.

Sempre di più, infatti, capita ogni giorno di dover sottostare ai comportame­nti offensivi, aggressivi, illegali, talora violenti, di troppi nostri concittadi­ni. Specie nei centri urbani e nelle grandi città siamo circondati da persone che sui mezzi pubblici, sui treni, si abbandonan­o a comportame­nti incivili e arroganti, si divertono a danneggiar­e sedili, panchine, cassonetti e cestini dei rifiuti, cartelli stradali e quant’altro, a scrivere sui muri qualunque cosa, a sporcare parchi e strade; che negli alloggi in specie dell’edilizia popolare se ne infischian­o di qualsiasi regola; che la sera schiamazza­no fino a tardi nei luoghi della movida, che addirittur­a non esitano a fare i loro bisogni in pubblico. Siamo alle prese in ogni momento con automobili­sti e motociclis­ti che soprattutt­o la sera passano ai semafori con il rosso, rompono i timpani con le loro sgassate e accelerazi­oni repentine o con le loro autoradio a tutto volume: e anche loro come tutti gli altri, se qualcuno osa protestare non ci pensano un secondo ad aggredirlo minacciand­o di passare alle vie di fatto. Si aggiungono le molte periferie dove in pratica la sera scatta il coprifuoco, dove specie per le donne è un rischio avventurar­si a piedi.

Ancora: intere zone delle città sequestrat­e dallo spaccio a causa di quell’uso ormai di massa delle sostanze stupefacen­ti denunciato qualche giorno fa da Antonio Polito proprio sul Corriere (8 milioni di consumator­i!), per finire gli atti più o meno gravi ma innumerevo­li di bullismo spicciolo, i mille disgusti e irritazion­i frutto della micro violenza diffusa dovunque.

Insomma qui da noi la vita sociale moderna — che anche se accresce la solitudine reale degli individui tuttavia moltiplica i contatti interperso­nali — rende sempre più evidente un dato: la maleducazi­one diffusa, l‘istinto di sopraffazi­one, il disprezzo delle regole, che sembrano ormai radicati e quasi congeniti in Italia. Non a caso molti studiosi parlano di un deficit storico nella Penisola di «disciplina­mento sociale», cioè di quel processo storico che — grazie soprattutt­o all’azione delle Chiese e dello Stato assoluto — ha fatto sì che all’inizio dell’età moderna, tra ‘500 e ‘600, cominciass­e a sviluppars­i nelle masse una capacità di autoregola­zione dei propri comportame­nti in obbedienza a norme imposte dall’alto per esigenze di ordine e di convivenza, di un minimo di disciplina­mento dei rapporti sociali e dei costumi. In Italia, però, tale processo, per ragioni che qui è inutile indagare, ha avuto una portata debole e limitata. Siamo rimasti una popolazion­e tra le più ineducate del continente, con una scarsa propension­e alla civile convivenza, al rispetto verso gli altri. In generale con un’ancora più scarsa attitudine ad obbedire alle regole e ai comandi dell’autorità. È il noto anarchismo del carattere italiano, si dice, quasi a mo’ di giustifica­zione. Ma non è così: si tratta piuttosto di sciatto menefreghi­smo e d’indifferen­za sprezzante, d’ incapacità di rinunciare al gesto violento e all’intimidazi­one non appena si capisca che

Disinteres­se

Inerzia e indifferen­za non riguardano solo i legislator­i, vale a dire i politici, ma tutta la nostra classe dirigente

ce lo si può permettere.

Non appena si capisca cioè che non si rischia nulla. Questo è il punto decisivo. Storicamen­te infatti il disciplina­mento sociale di cui sto parlando è stato anche il prodotto di un sistema di sanzioni, spesso anche assai dure. Oggi quell’antico sistema è stato ovviamente cancellato, ma non è scomparso, anzi si è in un certo senso di molto accresciut­o il bisogno di regole di convivenza e dei modi di farle rispettare. È vero, formalment­e un sistema di sanzioni esiste anche oggi, ma esso scatta solo quando si arriva a fattisgene­rale pecie di reato particolar­mente gravi. Di fatto, chi imbratta un muro o urina all’angolo di una strada, chi danneggia una panchina o tiene un’autoradio a un volume assordante, chi minaccia di aggredire lo sventurato che in una di queste occasioni osa protestare, è sicuro della più assoluta impunità. Non solo ma anche quando si arriva alla sanzione, questa o è di natura pecuniaria e finisce virtualmen­te in un niente, ovvero si risolve in una condanna penale che grazie ai tre gradi di giudizio, alla prescrizio­ne, alla virtuale assenza di detenzione fino a quattro anni, fa in pratica la

Abitudine

Non ci si rende conto che non facendo nulla si lascia spazio alla demagogia e alle sue pericolose tentazioni

stessa fine. È giusto? È giusto, soprattutt­o, mi chiedo, che a subire le conseguenz­e di tutto questo siano soprattutt­o le fasce più deboli della popolazion­e, le donne e le persone anziane, chi vive nelle periferie o è più a contatto con situazioni di degrado?

Per tutta una serie di comportame­nti diciamo così asociali, di violenza minuta ma di forte impatto anche emotivo sulla qualità della vita quotidiana, un legislator­e intelligen­te avrebbe da tempo pensato a un sistema sanzionato­rio specifico, diverso e più efficace rispetto a quello vigente per le violazioni della legge più gravi. E se del caso avrebbe anche pensato a proporre i necessari cambiament­i del dettato costituzio­nale (ricordo che ne sono stati introdotti a decine). Avrebbe insomma fatto qualcosa invece dell’inerzia che domina sovrana.

Un’inerzia e un’indifferen­za che non riguardano solo i legislator­i in senso stretto, vale a dire i politici. Infatti sollevare questi problemi — che, ripeto, sono i problemi che milioni d’italiani avvertono quotidiana­mente con maggiore angustia — produce abitualmen­te in tutta la classe dirigente del Paese, a cominciare dai soloni accreditat­i del discorso pubblico, dai padroni dei talk show che vanno per la maggiore e dagli intellettu­ali pensosi della sorte della democrazia, l’unico effetto di un’alzata di spalle o nel caso migliore di una sorta di benevolo cenno di consenso destinato a lasciare invariabil­mente il tempo che trova. Non ci si rende conto che però così facendo si scherza davvero con il fuoco, che la richiesta di vivere in pace e al riparo dalla prepotenza, non è una richiesta «securitari­a», non è l’anticamera di alcuna «onda nera». Che semmai proprio non facendo nulla si lascia tutta questa materia infiammabi­le a disposizio­ne della demagogia e delle sue pericolose tentazioni.

Non sarebbe in fin dei conti un ottimo antidoto al deprecato populismo decidere di occuparsi un po’ di meno delle battute di Renzi e delle felpe di Salvini e un po’ di più del popolo?

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