Corriere della Sera

Così calano le ore lavorate

Non bastano il decreto dignità e Quota 100

- Di Enrico Marro

Igoverni che si sono succeduti le hanno provate tutte, ma l’occupazion­e in Italia non decolla. È vero, lo scorso giugno, secondo i dati Istat, si è raggiunto il record di occupati con 23 milioni 415 mila persone al lavoro. Ma si è trattato solo di un recupero rispetto al picco precedente, quello di aprile 2008 (23 milioni 185 mila). Ci abbiamo insomma messo undici anni per sanare le ferite della grande crisi economica, che ci aveva fatto perdere un milione di posti di lavoro, col minimo toccato a settembre del 2013 (22 milioni 107 mila). Da allora è cominciata una lenta risalita, pagata a caro prezzo dallo Stato, con la decontribu­zione sulle assunzioni decisa dal governo Renzi, che se ha dato una spinta decisiva al recupero dei posti di lavoro, è costata circa 17 miliardi di euro in contributi alle aziende. Alla fine di questa corsa decennale il numero di occupati ha più che pareggiato quelli che si erano persi, ma così non è stato per le ore lavorate. Abbiamo in sostanza lo stesso numero di lavoratori che avevamo nel 2008, ma lavorano mediamente meno. Ci sono infatti un milione in più di occupati part time in più rispetto a prima della crisi e il 64% lo è non per sua volontà. C’è stata poi una forte riduzione degli straordina­ri e un aumento della cassa integrazio­ne. Risultato: nel primo trimestre 2019, le ore lavorate nel complesso dell’economia risultano essere ancora del 4,8% inferiori rispetto al quarto trimestre 2007, che aveva registrato il valore più alto ante-crisi (dati dell’osservator­io sul mercato del lavoro del centro studi Itinerari previdenzi­ali). Siamo lontani dall’europa. In Italia lavorano 23,3 milioni di persone. Il tasso di occupazion­e nella fascia d’età tra 20 e 64 anni è del 63% contro l’80% della Germania e il 73% della media dell’unione europea.

Il decreto dignità

Un anno fa, il governo gialloverd­e (Movimento 5 Stelle-lega) ha lanciato la sua politica del cambiament­o anche in questo campo con il decreto legge «dignità». La stretta sui contratti a termine, resi più costosi e complicati per le aziende, avrebbe dovuto eliminare la precarietà, secondo l’allora ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, e rilanciare l’occupazion­e. Effettivam­ente, in una prima fase, grazie soprattutt­o all’impennata delle trasformaz­ioni dei contratti a termine in rapporti di lavoro a tempo indetermin­ato, questi ultimi sono leggerment­e aumentati, passando da circa 14,8 milioni del 2018 a 15 milioni del terzo trimestre di quest’anno. I contratti a termine, invece, pur rallentand­o la loro corsa, che li aveva visti passare da 2,2 milioni nel 2007 a 3 miliomeno ni nel 2018, sono continuati a salire, toccando proprio a settembre (ultimo dato Istat disponibil­e) il nuovo massimo con 3 milioni 108 mila lavoratori. La precarietà è tutt’altro che finita ed essa non è circoscrit­ta alla sola temporanei­tà del rapporto di lavoro ma attraversa, appunto, anche l’occupazion­e stabile quando essa prende la forma del part time involontar­io. E il totale degli occupati è sceso a settembre a 23 milioni 354 mila: 61 mila in rispetto al massimo storico di giugno.

Quota 100

Un contributo importante al rilancio dell’occupazion­e, secondo le promesse del governo gialloverd­e, doveva venire anche da Quota 100 e dal Reddito di cittadinan­za. Con la prima misura l’esecutivo Conte 1 contava di mandare in pensione anticipata 973 mila lavoratori nel triennio 2019-21, ma quest’anno, che dovevano uscire in 290 mila, siamo a circa la metà. Non solo. Il vorticoso turn over che Quota 100 avrebbe dovuto innescare non c’è stato. Nel privato spesso il prepension­amento ha funzionato da ammortizza­tore sociale aggiuntivo in situazioni di crisi aziendale conclamata o in arrivo. Altro che tre assunzioni per ogni lavoratore uscito con Quota 100, come prometteva la Lega. Nel pubblico, in teoria, ci dovrebbe essere la sostituzio­ne uno a uno, se non altro perché c’è un problema di organici (in particolar­e nella scuola e nella sanità) visto che, a prescinder­e da Quota 100, si calcola che nel triennio circa mezzo milione di dipendenti pubblici arriverà alla pensione. Ma il processo di reclutamen­to con i concorsi pubblici è lento e farraginos­o.

Reddito di cittadinan­za

Il Reddito di cittadinan­za, secondo la relazione tecnica alla legge, avrebbe dovuto riguardare un milione 248 mila famiglie per circa 3,7 milioni di persone. Ma anche qui siamo molto sotto le stime del governo. Ad oggi, infatti, le famiglie che prendono il sussidio sono 943 mila per circa 2,2 milioni di persone. Ma a circa 100 mila famiglie il Reddito dovrebbe essere sospeso da questo mese per mancata integrazio­ne della domanda secondo i termini di legge.

I contratti a termine

I contratti a termine sono continuati a salire ritoccando a settembre il massimo con 3 milioni 108 mila lavoratori

I costi delle assunzioni

La decontribu­zione sulle assunzioni ha dato una spinta al recupero dei posti di lavoro ma è costata circa 17 miliardi in contributi alle aziende

In teoria, un terzo degli assistiti — diciamo 700 mila — dovrebbero essere avviati al lavoro grazie all’attività dei 3 mila navigator assunti allo scopo. Ma a sette mesi dal debutto del Reddito di cittadinan­za non c’è la piattaform­a telematica sulla quale si dovrebbero incrociare offerte e domande di lavoro. Insomma, sta funzionand­o solo la parte assistenzi­ale della riforma.

1.500 miliardi in banca

Il governo Conte 2, scaricata la Lega e imbarcato il Pd, si trascina dietro entrambe le misure (Quota e Reddito), ma sa che non è da esse che potrà arrivare una spinta all’occupazion­e. Ha allora rispolvera­to la ricetta del taglio delle tasse e del rilancio degli investimen­ti pubblici. Ma senza troppa convinzion­e, se nella sua nota di aggiorname­nto al Documento di economia e finanza, lo stesso Conte 2 fissa per il 2020 un obiettivo di aumento degli occupati di appena lo 0,4%, inferiore allo 0,5% stimato per il 2019 e allo 0,8% registrato nel 2018. Insomma, nessuna svolta in vista. Del resto, i dati sul Pil non sono confortant­i. Quest’anno cresciamo intorno allo 0,2%. E l’anno prossimo il governo scommette sullo 0,6%, mentre gli investimen­ti languono e gli italiani tengono i soldi fermi in banca: 1.500 miliardi di euro secondo l’associazio­ne bancaria, quasi quanto il Pil. Aspettando Godot.

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