Deputate in fuga da Westminster «Troppo odio, abbiamo paura»
Londra, in 18 non si ricandidano. Tra loro l’ex ministra Rudd e la titolare della Cultura
LONDRA A dicembre ricorrono i cento anni dall’arrivo della prima donna a Westminster. La neoeletta Nancy Astor, allora, prese posto alla Camera dei Comuni tra i fischi di alcuni colleghi maschi.
A un secolo di distanza, le deputate britanniche si trovano nuovamente di fronte a un bivio: la Brexit e le profonde divisioni che l’uscita dall’ue ha creato nel Paese hanno innescato un odio senza precedenti nei confronti dei membri del parlamento e, in particolare, delle rappresentanti donne. Restare o lasciare? Sono 18 le deputate che hanno annunciato che non si ricandideranno. Tra di loro ci sono nomi importanti come l’ex ministro degli Interni Amber Rudd e Nicky Morgan, attuale ministro per la Cultura, i media e lo sport.
Se la porzione di donne che abbandonano Westminster rispetto agli uomini rispecchia la percentuale di deputate ai Comuni (32%) è vero anche che in confronto ai dimissionari maschi le donne sono più giovani, in termini sia anagrafici, sia di anzianità professionale.
Sono gli insulti e le minacce costanti che ricevono sui social e attraverso altri canali, nonché l’impatto sulle loro famiglie, ad aver contribuito alla decisione. Heidi Allen, ex conservatrice passata ai liberaldemocratici, ha spiegato con una lettera ai suoi elettori che «nessuno dovrebbe essere costretto a sopportare minacce quotidiane, email aggressive, insulti e parolacce sui social media e per strada. Non dovrebbe essere necessario mettere un allarme in casa o una busta esplosiva accanto alla buca delle lettere della propria abitazione nel caso arrivi un pacco bomba». Non si ricandiderà.
Le sue sono esperienze condivise dalla maggior parte delle deputate, di tutti i partiti, che citano «un ambiente tossico a Westminster e fuori». La laburista Gloria Del Piero, su consiglio della polizia, non pubblicizza gli eventi ai quali parteciperà. A casa ha anche lei l’allarme e ha tolto la buca delle lettere. Ne ha una esterna, a prova di bomba, in fondo al giardino. L’independente Anna Soubry riceve decine di messaggi minatori al giorno: più sconcertanti, però, sono i biglietti di «condoglianze» recapitati al partner: «la tua compagna traditrice presto morirà».
L’assassinio di Jo Cox, pochi giorni prima del referendum sull’europa, ha dimostrato la vulnerabilità delle deputate. Un tragico caso estremo che ha cementato la solidarietà tra di loro – recentemente in 72 hanno firmato una lettera di sostegno a Meghan Markle, criticando il trattamento che la duchessa di Sussex riceve dai media – ma la paura è reale e coinvolge anche le famiglie, come ha spiegato recentemente la giovane Ellie, figlia della laburista Yvette Cooper. «Quando ero piccola il lavoro di mia madre era ciò che ci obbligava ad andare a letto prima che tornasse a casa.
Non è mai stato una cosa che poteva toglierle la vita. Oggi non posso non pensare che un giorno che doveva essere normalissimo due bambini hanno salutato la loro mamma con un bacio e non l’hanno più rivista». Anche a casa sua, ha precisato, ci sono il panic button, la cassetta della posta anti bomba e una porta blindata degna di una cassaforte.
I toni del premier Boris Johnson, piuttosto che unire il Paese, stanno creando ulteriori divisioni, dicono in tante, mettendo a repentaglio la diversità del parlamento: «Temo che con queste elezioni avremmo ancora meno deputate a Westminster», ha sottolineato Sam Smethers, amministratrice delegata della Fawcett Society, una charity per l’uguaglianza di genere. «La politica oggi è un ambiente ostile alle donne. Stiamo tornando indietro».