Così quel bimbo di Little Italy incontrò il nostro cinema
«Sembra di immergersi alla ricerca di una nave affondata e risalirne carichi di tesori». Questo è solo uno degli entusiastici commenti che hanno invaso Internet mentre Il mio viaggio in Italia di Martin Scorsese sta compiendo il giro dei festival, da Seattle a Sidney e oltre. Ma com’è nata l’idea di questo straordinario omaggio al neorealismo? Metti una sera a cena, una decina d’anni fa, in quel santuario del cinema che è l’appartamento romano di Suso Cecchi d’amico in via Paisiello. Presenti Fellini, ancora allegramente conviviale, e Scorsese che ribadisce: «Senza I vitelloni non avrei mai fatto Mean Streets». Federico è curioso di sapere quando si è svegliata nel collega la passione per i film nostrani e Martin racconta: «Nel 1948 avevo 6 anni quando vidi entrare nella casa paterna di Little Italy il primo televisore». Su quel piccolo schermo affiorarono quasi subito le immagini grigiastre di un gruppo di soldati Usa che una ragazza del popolo guida nottetempo negli anfratti di una costa rocciosa. «Papà, mamma, la Sicilia!» gridò il bimbo chiamandoli a vedere la terra degli avi. Per il futuro regista fu la prima folgorazione di un cinema della realtà, agli antipodi degli adorati western. Avendo accompagnato Rossellini nell’avventura di Paisà, Fellini è commosso; e intanto a Suso, ascoltando l’amico americano ripercorrere le successive tappe della sua scoperta (De Sica, Visconti, Antonioni, ma anche quel «Passaggio segreto per l’antichità» che sono i colossal kolossal su Roma antica) balena l’idea. Partiti gli ospiti e sparecchiata la tavola, che per antica abitudine è quella su cui lavora, la padrona di casa tira fuori la macchina per scrivere e butta giù qualche pagina. Quando Scorsese legge l’ appunto della sceneggiatrice, decide subito di ricavarne un film. (dal Corriere della Sera
del 14 giugno 2002)