I DEPOSITI DEI MUSEI, GIACIMENTI DEL BELLO DA ESPANDERE E RIPENSARE
In un recente incontro milanese, il ministro Dario Franceschini, opportunamente, ha dichiarato di voler destinare significativi finanziamenti ad archivi e biblioteche. Nella medesima tipologia di beni — forse mediaticamente poco «efficaci» — rientrano i depositi dei musei e dei siti archeologici. Autentiche stanze di tesori nascosti. Labirinti segreti, eppure vitali. Simili alle sale macchine delle navi. Più che nelle collezioni o nelle mostre, lì abita l’anima delle istituzioni museali. Lì si trova la maggior parte del nostro patrimonio. E lì si muovono, con gesti sapienti, tecnici e storici dell’arte, che custodiscono, restaurano e studiano reperti, dipinti, sculture.
Per continuare a vivere, i caveau vanno radicalmente ripensati. Innanzitutto, essi hanno bisogno di espandersi, per poter accogliere donazioni da parte di artisti, di eredi, di collezionisti (oggi spesso rifiutate a causa di una drammatica mancanza di spazi). Inoltre, richiedono risorse economiche specifiche e competenze ulteriori: professionisti addetti alla conservazione, alla catalogazione, ma anche alla valorizzazione. Infine, questi luoghi vanno concepiti non come cripte polverose, ma come cantieri aperti a ricercatori e a curiosi: da vedere e da attraversare in alcune giornate dell’anno. Ricorrendo anche alle opportunità del web e dei social, che potrebbero consentire la documentazione video in diretta della vita di questi opifici del bello.
Portarsi al di là della filosofia degli eventi, della querelle sulle mostre e del dibattito anacronistico sul rapporto tra pubblico e privato. Per porre, invece, al centro dell’agenda politica proprio il ruolo e la funzione di quei meravigliosi giacimenti che sono i nostri depositi. Dunque, investire sull’invisibile, per rafforzare l’identità del nostro Paese. È, questa, una tra le più ambiziose scommesse per il futuro dei beni culturali.
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