Corriere della Sera

«Parlare della morte: l’ultimo tabù»

- San Benedetto di Lugana

Parlare della morte è difficile, è l’ultimo tabù rimasto. Si piange, ci si abbraccia, si portano i fiori al cimitero il 2 novembre, ma quasi mai si accenna alla morte. Parlare di morte è parlare di vita, di scopo della nostra vita. È capire chi siamo: persone destinate a una eternità in un mondo fragile. Da quando entriamo nel mondo iniziamo il nostro cammino verso la morte, che è lo scopo vero della vita. Come vivo, così affronto la morte che è il suo compimento. Come Gesù che è morto come ha vissuto: dando la vita per gli altri. Ma vi è un interessan­te passaggio tra il cielo e la terra che è davvero curioso. Vi è un legame tra la nostra vita terrena e il cielo, ossia coloro che sono nella pace di Dio. Un legame che sperimenti­amo ogni volta che, nella Liturgia, siamo in sintonia tra la terra e il cielo. Noi fragili peccatori ci sentiamo nella comunione con coloro che ci hanno preceduti nella fede. Una comunione che nessuno potrà spezzare. Lo scopo della vita è vedere Dio faccia a faccia. Per questo saremo sempre degli eterni insoddisfa­tti. Commemorar­e i defunti non è sempliceme­nte ricordare o portare un fiore alla tomba, ma entrare nella profondità della vita. L’unica realtà capace di competere con la morte è l’amore. Per questo diciamo: «Ti amo fino alla morte!». Questo amore per noi credenti è Gesù l’unico che ha vinto la morte. L’unico che ci ha aperto il passaggio alla vita immortale, alla vita eterna. Dei santi non ricordiamo il giorno della nascita, ma della morte, della salita al cielo. Il giorno in cui l’amore diventa pienezza di vita.

don Luigi Trapelli

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