Corriere della Sera

«Uniti possiamo scalare il mondo»

Kolisi leader nero del trionfo sull’inghilterr­a

- Domenico Calcagno Gaia Piccardi

Ventiquatt­ro anni fa, a Johannesbu­rg, Nelson Mandela consegnava la Coppa del Mondo a François Pienaar, il capitano bianco degli Springboks che avevano battuto gli All Blacks di Jonah Lomu. Ieri, a Yokohama, Cyril Ramaphosa, vecchio compagno ed erede di Madiba nelle stanze governativ­e di Pretoria, accarezzav­a quella stessa Coppa insieme a Siya Kolisi, il capitano nero degli Springboks che avevano appena battuto l’inghilterr­a. Il Mondiale conquistat­o in Giappone è un grande risultato sportivo per il Paese Arcobaleno, ma anche un altro passo sulla difficile strada dell’integrazio­ne. «Rassie (Erasmus, il c.t.) ci ha detto: non dovete giocare per voi, ma per tutti quelli che stanno in Sudafrica — ha spiegato Kolisi —. È come nel ‘95, pochi pensavano potessimo farcela, ma abbiamo dimostrato che lavorando insieme possiamo arrivare dovunque. Questo è quello che conta».

Il Sudafrica ha distrutto l’inghilterr­a, favorita più o meno per tutti dopo la grande semifinale contro gli All Blacks, con una partita da vero Sudafrica. Mischia dominante e difesa impenetrab­ile, 32 punti segnati, 12 subiti. Per la prima volta, alla terza finale, gli Springboks hanno segnato due mete (ancora non ne hanno subite), con Mapimpi e Kolbe, ma per vincere sarebbero comunque bastati i calci di Pollard.

«Chapeau» ha twittato il primo ministro inglese Boris Johnson. «Bravi, ve la siete meritata» ha detto il principe Harry nello spogliatoi­o dei bokke dove Mtawarira, il pilone soprannomi­nato The Beast, gli offriva una birra dopo avergli chiesto come stavano Lady Meghan e il piccolo Archie. Neppure Eddie Jones, il re delle polemiche, che una Coppa l’ha vinta da assistente del Sudafrica e due le ha perse da capo allenatore, ha avuto da obiettare: «I miei giocatori hanno fatto il possibile. Sempliceme­nte non siamo stati abbastanza bravi per vincere». «Prima della finale abbiamo parlato tra di noi — ha raccontato Erasmus rispondend­o a una domanda sulla pressione —. In Sudafrica sei sotto pressione se sei senza lavoro, se ammazzano un tuo parente o un tuo amico. Abbiamo problemi in Sudafrica. Il rugby, però, non può creare pressione, il rugby deve dare una speranza, noi non avevamo pressione, ma il privilegio di poter dare una speranza a tutti i sudafrican­i».

Nessuna speranza invece per gli inglesi, incapaci di svolgere il piano tanto efficace contro i neozelande­si. L’aggressivi­tà degli Springboks li ha lasciati senza respiro fin dal primo minuto. Itoje, letale contro i blacks, è sparito, imprigiona­to nella marcatura di Du Toit. È stata una grande partita di rugby, dominata dai sudafrican­i, padroni della mischia e delle chiavi del gioco. Capaci di resistere quando i bianchi hanno prodotto il massimo sforzo, di ripartire e segnare con i tre quarti, mandati all’assalto solo a giochi fatti. Hanno vinto nel segno della tradizione, ma con un gruppo profondame­nte diverso. Una volta gli Springboks erano la squadra dei boeri, oggi sono bianchi, neri, colored e li guida un capitano nato nella township di Port Elizabeth. «Madiba — ha detto Habana, campione nel 2007 — sta sicurament­e guardando da lassù. E sta sorridendo».

Alto, magro, braccio fatato. Io ero un ragazzino, giocammo al Cairo in un circolo stupendo, con gli spogliatoi tutti in legno e gli asciugaman­i bianchi profumati. Mi diede una stesa micidiale. Fenomeno assoluto. Mai più rivisto».

Il più geniale?

«Gene Mayer. Come ti nascondeva lui la palla, nessuno».

Il più simpatico?

«John Newcombe e Ilie Nastase, un casinista a cui potevi voler bene solo un giorno sì e uno no. Il più ironico però era Arthur Ashe: ogni frase, una sentenza».

Il più antipatico?

«È una bella gara tra Connors e Lendl».

Il più latin lover?

«Gerulaitis, no contest. Borg era un seduttore silenzioso: ogni tanto ti voltavi e non lo trovavi più. Si era imboscato».

Nick Kyrgios è sufficient­emente diabolico: le piace?

«No. È brutto e gobbo. Come talento naturale mi diverte di più Dustin Brown».

Berrettini è il degno erede, Panatta?

«È Berrettini. E mi lasci dire, a proposito del Master ‘75: non vinsi un match perché ebbi un attacco micidiale di emorroidi. Una sofferenza atroce. Contro Ashe, Nastase e Orantes fu già miracoloso scendere in campo».

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La lotta per il pallone tra gli avanti inglesi e sudafrican­i: gli uomini di mischia in maglia verde hanno dominato la partita
(Afp) Scontro frontale La lotta per il pallone tra gli avanti inglesi e sudafrican­i: gli uomini di mischia in maglia verde hanno dominato la partita
 ?? (Afp, Ap) ?? Nelson Mandela consegna la Coppa del Mondo 1995 a François Pienaar (in alto); Siya Kolisi e Cyril Ramaphosa con la Coppa conquistat­a ieri
(Afp, Ap) Nelson Mandela consegna la Coppa del Mondo 1995 a François Pienaar (in alto); Siya Kolisi e Cyril Ramaphosa con la Coppa conquistat­a ieri
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Presidenti e capitani

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