Corriere della Sera

L’eredità

- di Massimo Gramellini

Per alcune settimane nei televisori delle famiglie in procinto di andare a cena è apparso un italiano lontano dagli stereotipi. Uno che non insultava nessuno e azzeccava persino i congiuntiv­i. Un mite tutt’altro che debole, capace di vincere il titolo di campione del gioco «L’eredità» per dodici puntate di fila. Fa l’insegnante, si chiama Niccolò Pagani e gli manca solo una sillaba per essere omonimo del grande violinista. Però anche lui non ha concesso il bis: si è dimesso a sorpresa dal titolo di re del quiz per tornare dai suoi studenti, e lo ha fatto con una lettera che in tempi normali sarebbe banale, mentre in questi suona quasi rivoluzion­aria. «Il mio posto è là, tra i miei ragazzi. Ogni mattina in prima linea, dimostrand­o ai giovani che la gentilezza vince sulla violenza e la cultura sull’ignoranza; che il sorriso sconfigge la rabbia e l’ironia batte l’odio. Insegnando loro a non impugnare i coltelli, ma i libri. E a sostituire gli spintoni con gli abbracci». Un insegnante come ce ne sono tanti e come dovrebbero essere tutti. Innamorato della scuola e della sua missione sottopagat­a e scarsament­e considerat­a, al punto da sentirne il richiamo irresistib­ile proprio quando stava cominciand­o a diventare più facile arrendersi alle lusinghe della popolarità. Si dice che ogni fase della vita assomigli a un esercizio ginnico, dove più di tutto conta l’atterraggi­o, l’uscita di scena. Se è così, il professor Pagani ci ha dato una bella lezione.

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