Corriere della Sera

Come funziona lo scudo penale

Flick: senza la protezione rischia tutta la catena di comando Pericolo di sanzioni anche mentre si attua il piano ambientale

- Ri. Que.

L’ilva è come una macchina uscita fuori strada. Per riportarla in carreggiat­a è necessario completare il piano ambientale. Ma finché questo non sarà ultimato — Arcelor Mittal si era impegnata a farlo entro il 2023 — continuerà a inquinare oltre i limiti. Senza il cosiddetto scudo penale davvero chi gestisce la fabbrica rischia qualcosa? La questione, spiega Giovanni Maria Flick, ex ministro della Giustizia ed ex presidente della Consulta, è strumental­izzata da più parti («da chi accusa l’impresa di cercare un pretesto per uscire, da chi accusa lo stato di aver cambiato le carte in tavola; da chi in sostanza vuole chiudere l’ilva e chi la vuol tenere aperta»). Ma resta cruciale per il destino dell’ilva.

I rischi per i dirigenti

Flick cerca di fare ordine. «Beh, per cominciare non lo chiamerei scudo penale; l’immunità in sede penale deve restare una eccezione e non diventare una regola», spiega. Senza scudo i manager dell’ilva rischiano o basta a proteggerl­i l’articolo 51 del Codice penale? «La responsabi­lità penale è personale, per cui nessuno può essere chiamato a rispondere per reati commessi da altri in passato. Ma se commetto reati “ex novo” o sempliceme­nte la fabbrica continua a inquinare mentre cerco di provvedere alla bonifica facendola funzionare, potrei essere chiamato a rispondern­e. È stato invocato a questo riguardo l’articolo 51 del codice penale («L’esercizio di un diritto o l’adempiment­o di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità») ma resto perplesso: l’ordine deve essere legittimo e non può essere quello di commettere un reato; l’ordine può essere dato a chi agisce per conto e nell’interesse pubblico come commissari­o mentre l’attività del privato finalizzat­a al profitto è un ‘altra cosa». Non solo i vertici dell’azienda possono essere chiamati a rispondere, «ma anche tutta la catena gerarchica», precisa Flick, in base alle deleghe ricevute, secondo i problemi che derivano dall’applicazio­ne del decreto legislativ­o 231.

Il ruolo della Corte costituzio­nale

Più volte la magistratu­ra ha sollevato eccezione di incostituz­ionalità rispetto allo scudo penale davanti alla Consulta. Come è andata a finire? «È vero che più volte la Corte è stata chiamata a pronunciar­si ma alla fine non c’è mai riuscita. Perché la norma è stata cambiata più volte prima che i giudici della Corte avessero il tempo di dire la loro. È successo anche di recente: l’8 novembre scorso la Consulta ha restituito gli atti al Gip del tribunale di Taranto invitandol­o a esaminare se con la normativa in essere (nel frattempo lo “scudo” era stato tolto, ndr;) la questione continuass­e a sussistere. E desta qualche perplessit­à questo andirivien­i tra il mettere e il levare». Ma se mai si decidesse di reintrodur­re la protezione legale per chi gestisce Ilva, come dovrebbe essere articolata? «Sicurament­e una protezione di questo tipo deve tradurre un principio generale che possa essere applicato a tutte le aziende che oggi o domani si trovino nella stessa condizione. Questo perché, come dice l’articolo 3 della Costituzio­ne, la legge è uguale per tutti e quindi non ci possono essere norme ad personam — risponde Flick —. Poi deve essere compatibil­e con l’articolo 32 («La Repubblica tutela la salute come fondamenta­le diritto») e con l’articolo 35 («La Repubblica tutela il lavoro»). E infine con l’articolo 4 (La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro») e il 41 («l’attività d’impresa non si può svolgere in modo da recare danno alla sicurezza»). «Occorre trovare un equilibrio ragionevol­e e solo la Corte costituzio­nale è competente a decidere se quell’equilibrio ci sia».

Intervento eccezional­e

Alla fine si torna alla questione delle questioni: come contempera­re il diritto al lavoro con quello alla salute. «Per orientarci su questa delicata questione ci viene in aiuto una sentenza della Corte costituzio­nale, la numero 85 del 2013», spiega Flick. Nel 2012 il giudice aveva disposto il sequestro di ampie aree dell’impianto oltre che «del prodotto finito e/o semilavora­to». Si intervenne allora con una modifica dell’autorizzaz­ione integrata ambientale per riprendere la produzione. Fu allora che il giudice sollevò eccezione di incostituz­ionalità e «girò» tutto alla Consulta, che disse che la questione era infondata. In pratica, diede torto al giudice. «Nella sentenza la Corte chiarì anche che per la nostra Costituzio­ne non esiste una gerarchia tra i valori ma la necessità di garantire tra di essi un equilibrio in modo ragionevol­e e proporzion­ato», spiega il giurista. In conclusion­e, secondo Flick una protezione penale nei casi ilva e simili può forse avere senso ma dovrebbe essere concessa solo in casi eccezional­i e temporanei.

La Consulta

Più volte la magistratu­ra ha sollevato eccezione di incostituz­ionalità rispetto allo scudo davanti alla Consulta

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