SUV DA RECORD: DI VENDITE E INQUINAMENTO
Se nel mondo circolano oggi all’incirca 1,1 miliardi di veicoli (sono dati dell’iea contenuti nel «World Energy Outlook» diffuso ieri) all’interno di questo numero compare un trend preoccupante. Riguarda i Suv, gli «Sport Utility Vehicle», quelle auto grandi e grosse, dall’assetto rialzato e spesso con trazione integrale.
Erano 35 milioni nel 2010 e sono diventati 200 milioni oggi. Rappresentano il 40% delle vendite annuali di veicoli sul pianeta, perché piacciono ovunque e soddisfano senza distinzioni il bisogno dei consumatori di vedere riconosciuto il loro status e benessere. Sono quasi metà delle vendite negli Usa e un terzo di quelle in Europa. In Cina e India si stanno aprendo velocemente la strada, e così in Africa. Ma come nel caso di un altro simbolo della condizione moderna in grande crescita, ovvero quello dei condizionatori d’aria (si prevede che se ne venderanno 10 ogni secondo per i prossimi trent’anni arrivando a 5,6 miliardi globalmente), la contropartita ambientale è terrificante. Negli ultimi dieci anni i Suv sono stati il secondo maggior responsabile dell’incremento dei gas serra e della CO2. Dietro al settore energia ma davanti all’industria pesante, acciaierie, cemento e alluminio inclusi. In media un Suv consuma un quarto di energia in più delle auto medio-piccole e se l’attuale ritmo di vendite dovesse proseguire nel 2040, servirebbero due milioni di barili di petrolio in più ogni giorno per soddisfare la loro sete. Cioè l’equivalente dei risparmi di combustibile (ed emissioni) ottenuti con 150 milioni di auto elettriche. Il confronto è stridente, se si pensa che malgrado la narrazione corrente sulla mobilità elettrica e l’imminente tracollo di diesel e benzina, nel 2018 circolavano sul pianeta solo 5 milioni di veicoli con motore elettrico. I numeri non mentono, e le «narrative» possono essere interessate (ma questo sarebbe un altro discorso).