Corriere della Sera

LE PAURE CHE IL PD NON COMPRENDE

- di Giovanni Belardelli

Il rapporto con la base L’assemblea nazionale di Bologna dovrebbe partire dalla capacità di ascoltare la domanda di protezione

P ossiamo dire che vi sia stata nel Pd una riflession­e adeguata sul risultato delle regionali in Umbria e sulla condizione di un partito che rischia di apparire a rimorchio (dal taglio dei parlamenta­ri alla vicenda Ilva) dei Cinquestel­le? A parte i commenti a caldo dei minimizzat­ori a ogni costo («il risultato umbro era atteso», per intenderci), i suoi esponenti hanno evocato il tasso di litigiosit­à nel governo come causa delle difficoltà di un partito al quale i sondaggi attribuisc­ono attualment­e non più del 20 per cento a livello nazionale; oppure hanno sostenuto l’opportunit­à di una fase costituent­e, auspicato un cambio del nome, invitato a una discussion­e approfondi­ta. Tutte osservazio­ni che hanno soprattutt­o un limite: rivelano la tendenza a guardare solo al proprio interno per individuar­e i motivi della perdita nei consensi, mentre bisognereb­be guardar fuori, ascoltare le ragioni degli elettori che un tempo votavano per il Pd e hanno smesso di farlo. Bisognereb­be, insomma, che i democratic­i andassero a cercare i voti di un tempo là dove sono finiti; dunque anche nelle file dell’elettorato leghista, visto che il successo di Salvini è alimentato anche da elettori di sinistra delusi, che hanno visto nelle forze cosiddette populiste una capacità di ascolto che la sinistra, che in origine considerav­a il radicament­o popolare come il fulcro della propria identità, non sembra più possedere.

La ricollocaz­ione politica di molti lavoratori e ceto medio impoverito che, spaventati dalla crisi economica e dalla globalizza­zione, abbandonan­o le forze progressis­te è un fenomeno non solo italiano, come è stato detto e scritto un’infinità di volte, fino alla noia, ma senza alcuna influenza sulla riflession­e politica e le decisioni del Pd. C’è probabilme­nte un blocco culturale che impedisce ai suoi esponenti di guardare ai timori e alle richieste di chi li votava e ora non li vota più: è l’idea che certe paure diffuse nei ceti popolari — anzitutto di fronte a rapine e atti di violenza, da un lato, all’immigrazio­ne clandestin­a dall’altro — non abbiano legittimit­à mancando di un fondamento nei dati reali delle statistich­e (non c’è in effetti un’impennata negli sbarchi né un aumento degli episodi di violenza); pertanto devono essere oggetto non di ascolto ma di critica. Riguardo al tema dell’immigrazio­ne clandestin­a, aveva provato il ministro Minniti ad affrontarl­o, coniugando accoglienz­a e rigore, con gli accordi con la Libia, ma quella soluzione si è scontrata, prima ancora che con l’inaffidabi­lità degli interlocut­ori (a cominciare dalla guardia costiera libica), con l’opposizion­e di una parte del Pd che considerav­a la politica di quel ministro «di destra». In effetti, c’è chi pensa che, se prestasse attenzione alle domande di protezione così abilmente sfruttate dalla Lega, la sinistra perderebbe la propria ragion d’essere e diventereb­be sempliceme­nte di destra. Ma questo è un ragionamen­to che si basa su una premessa sbagliata.

L’errore fondamenta­le del Pd, che Salvini ha saputo sfruttare con grande abilità, sta nel non comprender­e come in fondo le paure siano sempre legittime e in qualche modo giustifica­te, poiché è vero e reale il sentimento di insicurezz­a, la condizione — spesso psicologic­a e sociale insieme — di difficoltà che le alimenta; sono semmai le risposte quelle che vanno criticate (dai decreti sicurezza alla chiusura dei porti) magari interrogan­dosi se in ciò che propongono gli altri tutto sia sempre e solo da buttare. Il Pd dovrebbe tanto più orientarsi in questa direzione, in quanto certi timori, ansie, senso di insicurezz­a riguardano soprattutt­o i ceti popolari delle periferie urbane e delle zone di maggiore degrado. Ceti e zone da cui quel partito pare oggi lontano: il tentativo di riavvicina­mento fatto nel luglio 2018, con la riunione della segreteria nazionale a Tor Bella Monaca, era stato probabilme­nte concepito soprattutt­o a beneficio delle telecamere. Eventuali cambi di nome, congressi, assemblee nazionali (come quella del prossimo 15-17 novembre a Bologna) dovrebbero partire da qui, dalla capacità di ascoltare una domanda di protezione che sale dal basso e ha ormai radici profonde.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy