Tutelare la bellezza nell’italia da salvare L’avventura del Fai arriva a Bookcity
«Il paese più bello del mondo» di Alberto Saibene (Utet) racconta la storia dell’associazione. Domenica la presentazione con Carandini Dagli anni Settanta al colle dell’«infinito» Genesi e sfide del Fondo per l’ambiente
Una foto del 1967 ritrae il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat con Giulia Maria Crespi e Renato Bazzoni all’inaugurazione della mostra Italia da salvare a Palazzo Reale di Milano, recensita da Indro Montanelli sul «Corriere della Sera». Da poco si era consumato uno dei più grandi disastri ambientali per le nostre città d’arte, l’alluvione di Firenze che, viste le condizioni in cui la comunità internazionale lascia oggi Venezia, sembra non aver insegnato abbastanza.
Se il disastro di Firenze fu il punto di non ritorno, l’attenzione per la difesa dei monumenti e dell’ambiente era desta sin dall’età del Grand Tour in Italia. A parte i padri nobili della protezione dei monumenti, gli inglesi William Morris e John Ruskin, la Costituzione italiana aveva già recepito l’importanza della tutela del Patrimonio (articolo 9), era già nata Italia Nostra con le firme di Umberto Zanotti Bianco, Giorgio Bassani, Desideria Pasolini dall’onda ed Elena Croce (che nel 1979 scrisse La lunga guerra per l’ambiente), erano vive le invettive di Antonio Cederna, già attive le carte del Restauro e stavano per nascere un ministero per i Beni culturali con Giovanni Spadolini, una legge di Tutela ambientale con Giuseppe Galasso, Legambiente e il primo dipartimento in Storia e conservazione per i beni architettonici e ambientali al Politecnico di Milano.
È in questo sentiment, come racconta Alberto Saibene in Il Paese più bello del mondo. Il Fai e la sfida per un’italia migliore (edito da Utet) che Giulia Maria Crespi, Renato Bazzoni, Alberto Predieri e Franco Russoli diedero vita al Fai (Fondo per l’ambiente italiano) sull’idea del National Trust inglese, aprendo al pubblico beni privati d’importanza museale. Da allora inizia una storia italiana che non ha uguali: nel 1977 la Crespi regala il monastero di Torba, nel Varesotto, che passa da bene di famiglia a primo bene del Fai. Arrivano poi la donazione del Castello di Avio da parte di Emanuela Castelbarco, nipote di Toscanini e, nell’81, il borgo di San Fruttuoso, con l’abbazia del XIII secolo. Sono i primi tasselli di un puzzle interminabile che si chiama tutela d’italia, una sfida che il Fai porta avanti, che vede impegnate anche altre associazioni ma che nel mondo globale dovrebbe essere un impegno non solo italiano.
Dura dal 1985 al 2000 il restauro del Castello della Manta, con il recupero delle corti cinquecentesche e degli arredi perché, caratteristica degli interventi Fai è che tutto resti intoccato. In Piemonte si apre il romantico Castello di Masino; nel 2004 si avvia il recupero del parco di Villa Gregoriana a Tivoli. Altri Beni «entrano in lista»: Villa della Porta Bozzolo a Casalzuigno, la villa di Fogazzaro, quella del Balbianello sul Lago di Como, che fu abitata dall’esploratore Monzino (con le sue collezioni esotiche e la slitta con cui andò al Polo Nord), il bosco di San Francesco (quello del Cantico delle creature), punta Mesco nel Parco delle Cinque Terre: qui è stato introdotto dal Fai il metodo biodinamico di coltivazione, come alle Cascine Orsine di Bereguardo. La vena internazionale dell’associazione si palesa con il recupero di Torre Campatelli a San Gimignano dedicata a Luigi Moscheri (che fu presidente dei Friends of Fai) e nel 2006 il Fai si apre alla salvaguardia del Moderno con il recupero di Villa Necchi Campiglio a Milano, icona della borghesia firmata da Piero Portaluppi. Ultimo bene, un mese fa, il Colle dell’«infinito» di Leopardi inaugurato a Recanati dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Saibene ricostruisce storia, protagonisti e legami del Fai con il mondo sociale e politico italiano, ricordandone sia alcuni aspetti elitari e i legami con la stampa che l’impatto sul volontariato diffuso, una delle anime del Fai, che ha delegazioni con migliaia di «sentinelle» del patrimonio. Anche da qui l’ambizioso sottotitolo del libro «la sfida per un’italia migliore».
Questo libro fa pensare a quanto misconoscimento ci sia da parte di un superficiale presente per le battaglie dei «padri». C’è un rimosso e un conformismo che non è tollerabile. Né lo è che il Politecnico (che non mise in cattedra Renato Bazzoni) cancelli il dipartimento di Conservazione, che a Venezia si vedano ancora le grandi navi, ma anche che si vada all’onu con la barca a vela di Pierre Casiraghi a dire che gli adulti «ci hanno rubato il futuro».
Il presidente del Fai, l’archeologo Andrea Carandini (i precedenti sono stati Giulia Maria Crespi e Ilaria Borletti Buitoni), preferisce guardare avanti. Cosa resta da fare? «Continuare ad agire da privati nell’interesse generale, come fa il Fai da 44 anni, recando un sussidio alla Repubblica — afferma —. La società civile non si limita ad osservare ma si rimbocca le maniche e agisce nel concreto, come indica l’articolo 118 della Costituzione nello spirito del nostro ordinamento liberal-democratico aperto e pluralista».