L’«idomeneo» con i Troiani come migranti
Una gavetta seria e l’esperienza che ne deriva permettono a Michele Mariotti di essere interprete, nel vero senso della parola, di ogni titolo d’opera. Di scegliere cioè una chiave di lettura e di portarla coerentemente a termine. Nel caso di Idomeneo, dirigendo il quale egli debutta a Roma, è l’idea di un Mozart olimpico, levigato, con tempi sufficientemente seduti da far emergere le mille sfaccettature orchestrali. Certo, chi rintraccia in questo titolo slanci drammatici già in odore di Romanticismo, può rimanerne deluso poiché la teatralità non è accentuata. Ma la scelta è condotta con rigore. Sembra di ascoltare una fluviale Sinfonia con voci.
L’intenzione sembra peraltro condivisa da Robert Carsen, che allestisce una messinscena ridotta all’osso, nei cui ampi spazi lascia circolare, palpabile, il soffio della suggestione poetica. C’è l’aggancio al mondo odierno: i Troiani sono «migrati» identici ai migranti di oggi, mentre i Cretesi sono in divisa finché, nel lieto fine, vincitori e vinti non si spogliano in un abbraccio umanissimo, non retorico. Lo spettacolo pone però l’accento non tanto sull’aspetto politico, quanto sulla geografia psicologica dei rapporti umani. E lo fa con quel magistero teatrale che a Carsen non è mai mancato. Un miglior cast avrebbe chiuso meglio il cerchio di questa produzione del Teatro dell’opera. Rosa Feola (Ilia) è super e Charles Workman (Idomeneo) ha tante risorse nello stile. Ma Joel Prieto è un Idamante con poca benzina e la pur brava Miah Persson ha volumi troppo piccoli per esprimere il furore di Elettra.
Idomeneo, re di Creta
Regia: Robert Carsen; direttore: Michele Mariotti 7 ●●●●●●●●●●