Corriere della Sera

L’«idomeneo» con i Troiani come migranti

- di Enrico Girardi

Una gavetta seria e l’esperienza che ne deriva permettono a Michele Mariotti di essere interprete, nel vero senso della parola, di ogni titolo d’opera. Di scegliere cioè una chiave di lettura e di portarla coerenteme­nte a termine. Nel caso di Idomeneo, dirigendo il quale egli debutta a Roma, è l’idea di un Mozart olimpico, levigato, con tempi sufficient­emente seduti da far emergere le mille sfaccettat­ure orchestral­i. Certo, chi rintraccia in questo titolo slanci drammatici già in odore di Romanticis­mo, può rimanerne deluso poiché la teatralità non è accentuata. Ma la scelta è condotta con rigore. Sembra di ascoltare una fluviale Sinfonia con voci.

L’intenzione sembra peraltro condivisa da Robert Carsen, che allestisce una messinscen­a ridotta all’osso, nei cui ampi spazi lascia circolare, palpabile, il soffio della suggestion­e poetica. C’è l’aggancio al mondo odierno: i Troiani sono «migrati» identici ai migranti di oggi, mentre i Cretesi sono in divisa finché, nel lieto fine, vincitori e vinti non si spogliano in un abbraccio umanissimo, non retorico. Lo spettacolo pone però l’accento non tanto sull’aspetto politico, quanto sulla geografia psicologic­a dei rapporti umani. E lo fa con quel magistero teatrale che a Carsen non è mai mancato. Un miglior cast avrebbe chiuso meglio il cerchio di questa produzione del Teatro dell’opera. Rosa Feola (Ilia) è super e Charles Workman (Idomeneo) ha tante risorse nello stile. Ma Joel Prieto è un Idamante con poca benzina e la pur brava Miah Persson ha volumi troppo piccoli per esprimere il furore di Elettra.

Idomeneo, re di Creta

Regia: Robert Carsen; direttore: Michele Mariotti 7 ●●●●●●●●●●

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