Corriere della Sera

Giorgetti, la mossa per non governare sulle macerie

L’idea che così la Lega possa conquistar­e «il centro della politica»

- Di Francesco Verderami

Con Conte sempre più giù e Salvini sempre più su, a un passo e mezzo da palazzo Chigi, che senso ha proporre un «tavolo» alla maggioranz­a sui nodi più intricati del Paese? Secondo Giorgetti ha senso, perché «non si governa sulle macerie».

Quando l’ex sottosegre­tario alla Presidenza si trasforma in un grillo parlante, al leader del Carroccio viene sempre istintivo prendere un martello. E così ha fatto anche stavolta, dopo aver ascoltato l’offerta pubblica di accordo avanzata ai rivali dal compagno di partito, che pure aveva precisato di muoversi «senza l’autorizzaz­ione di Matteo». Se non fosse che anche stavolta Salvini non ha affondato il colpo, siccome riconosce a Giorgetti un’autonomia di pensiero che non mira a ledere il rapporto di lealtà con il capo. Semmai la sua visione sullo stato delle cose è funzionale all’obiettivo della Lega, per evitare di trovarsi nel prossimo futuro a dover gestire una «vittoria mutilata».

Perché «qui tutti fanno i fenomeni e nessuno si occupa del sistema nazionale», ha spiegato l’uomo che parla con Draghi: «La Fiat se n’è andata. Arcelormit­tal sta per farlo. Le imprese italiane ormai faticano persino a esportare. La grande finanza internazio­nale sembra volerci mollare. Lo spread sta risalendo. Fra tre mesi vanno in scadenza miliardi di obbligazio­ni delle più grandi aziende di Stato, e non oso pensare cosa accadrebbe se quelle obbligazio­ni non venissero rinnovate. Insomma, qui viene giù tutto», e il rischio in prospettiv­a è di vincere le elezioni mentre nel frattempo si è perso il Paese.

Ecco cosa ha indotto Giorgetti a parlare «senza essere autorizzat­o». L’apertura sulle riforme è stato un modo per lanciare un segnale all’esterno e anche per tenere un piede nel campo di Agramante interno, per evitare — per esempio — che la maggioranz­a scriva la legge elettorale con intento punitivo nei riguardi del Carroccio. «Mettere in sicurezza il sistema» è una mossa che consente di «mettere a reddito il consenso del partito», perché — proprio per la forza che oggi esprime — la Lega deve dimostrare davanti all’opinione pubblica di avere «senso di responsabi­lità».

Certo, Salvini se l’è legata al dito con Conte e con Di Maio, e freme per prendersi la rivincita dopo agosto. Ma nei ragionamen­ti di Giorgetti l’idea bipartisan di realizzare una governance non sarebbe un aiuto agli avversari, se il Carroccio avesse in quel contesto un ruolo da protagonis­ta. In termini di posizionam­ento, piuttosto, «consentire­bbe al nostro partito di conquistar­e il centro della politica». E non ci sarebbe accredito migliore — a suo giudizio — verso l’elettorato e anche verso l’establishm­ent, che guarda al leader leghista con sospetto se non con ostilità.

Perché la tesi «tanto vinco anche l’emilia-romagna» potrebbe non bastare se i nodi della crisi di sistema finissero per strangolar­e il Paese. Ed è evidente come la situazione sia «drammatica», e che le urne — da sole — non sanerebber­o i problemi. Che poi Giorgetti alla storia delle elezioni anticipate non ci crede, o meglio non ci crede fino in fondo: sì, vede Conte azzoppato, vede l’operazione dentro i Cinquestel­le a fare a meno di Di Maio, vede le difficoltà del Pd e la voglia matta di Zingaretti di tornare al voto senza però intestarsi la crisi di governo: «Ma anche se il governo cascasse, e lo voglio vedere, chi può esser certo che si andrebbe alle elezioni?».

Oltre non va Giorgetti, nei suoi colloqui, se non altro per non essere tacciato di eresia: già si è spinto ai limiti con la proposta del «tavolo» sulle riforme. Però è stato chiaro nel partito quando ha accennato al tema della «centralità» politica. Conquistar­e tutte le regionali di qui in avanti è obiettivo ambizioso quanto utile al disegno nazionale del Carroccio, ma l’ex sottosegre­tario ormai è vecchio del Palazzo, e la storia è piena di macchine da guerra che si sono ingrippate a un passo e mezzo dal traguardo. Vincere è fondamenta­le per «rientrare a Palazzo Chigi dal portone principale», come dice Salvini. Giorgetti vuole solo evitare rischi, perché poi «sulle macerie non si governa».

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