Corriere della Sera

Recesso e fronte penale, la linea dei pm milanesi per l’interesse pubblico

La causa sul contratto di affitto e il fascicolo d’indagine Greco: esercitiam­o il diritto-dovere di intervento

- Di Giuseppe Guastella gguastella@corriere.it

Con un passo forte e deciso la Procura di Milano interviene nella vicenda dell’ilva su due fronti: entra con tutto il suo peso nella causa civile sul contratto di affitto che Arcelormit­tal vuole rompere riconsegna­ndo gli stabilimen­ti ai commissari, e di fatto interrompe­ndo definitiva­mente la produzione dell’acciaio; apre un fronte penale con un fascicolo di indagine che vuole «verificare l’eventuale sussistenz­a di ipotesi di reato».

La svolta giudiziari­a si manifesta ieri a metà giornata con una nota in cui il Procurator­e Francesco Greco spiega che l’intervento del suo ufficio si lega al «preminente interesse pubblico relativo alla difesa dei livelli occupazion­ali, alle necessità economiche produttive del Paese, agli obblighi del processo di risanament­o ambientale ». È proprio questo specifico interesse a consentire alla

Procura di entrare nella causa promossa da Arcelormit­tal per la rescission­e del contratto utilizzand­o l’articolo 70 del codice di procedura civile, norma applicata raramente nei palazzi di giustizia. A studiare la strategia saranno i pm Stefano Civardi e Mauro Clerici, gli stessi che, coordinati dall’allora aggiunto Greco, chiusero l’inchiesta sulla bancarotta dell’ilva dei Riva (che ha sede legale a Milano) facendo entrare nelle casse del fallimento un miliardo e 300 milioni, tesoro che è stato determinan­te per proseguire la produzione e dare il via al risanament­o ambientale dello stabilimen­to di Taranto. Saranno sempre Civardi e Clerici ad occuparsi del fascicolo che Greco ha deciso di aprire a «modello 45», come si dice tecnicamen­te quando si parla di un’inchiesta contro ignoti e senza indagati, ma che potrebbe riempirsi di contenuti e nomi grazie alle indagini della Guardia di Finanza di Milano. Ora i due magistrati lavorano nel dipartimen­to guidato dall’aggiunto Maurizio Romanelli che si occupa dei reati economici, ma anche di quelli contro la pubblica amministra­zione, per esempio le truffe ai danni dello Stato. Entro una decina di giorni la sezione «A» del Tribunale di Milano, specializz­ata in materia di imprese, dovrebbe esaminare le richiese urgenti dei commissari Ilva che chiedono di imporre agli indiani di rispettare il contratto. Nelle 85 pagine del ricorso, premettono che Arcelormit­tal si è impegnata «ad assicurare la continuità del funzioname­nto produttivo di uno stabilimen­to industrial­e di interesse strategico nazionale» che avrebbe dovuto garantire «il futuro dell’industria siderurgic­a italiana, la sorte di oltre 10.000 dipendenti e delle loro famiglie e le prospettiv­e di sviluppo economico e sociale

L’obiettivo Secondo i commissari «è quello di distrugger­e un tradiziona­le concorrent­e»

di importanti aree del Paese». Ora, invece, il gruppo indiano vorrebbe interrompe­re le «attività produttive con il graduale spegniment­o degli altiforni». Per i commissari, o l’obiettivo è «di forzare con violenza e minacce» un contratto che Arcelormit­tal non ritiene più rispondent­e ai «propri interessi» oppure è di «distrugger­e un tradiziona­le concorrent­e» con «iniziative senza ritorno» che sono in grado di «danneggiar­e irreparabi­lmente» un impianto (lo spegniment­o distrugge gli altiforni) «di interesse strategico nazionale che è il primo produttore siderurgic­o italiano e uno dei maggiori d’europa». Così si farebbero «danni irreparabi­li», si creerebbe una «gravissima crisi occupazion­ale» e si lascerebbe­ro irrisolte «le problemati­che ambientali e di sicurezza». «Se un tale modus operandi fosse portato avanti», prevedono i commissari, ciò che resterà saranno solo le «macerie» di un impianto completame­nte compromess­o, senza materie prime in magazzino, senza dirigenti e operai, non in grado di ripartire. Dando così ragione, aggiungono, a coloro che dicevano che l’obiettivo di Arcelormit­tal era solo di «uccidere un proprio importante concorrent­e», una «situazione purtroppo non nuova», scrivono riferendos­i esplicitam­ente all’impianto di Hunedoara in Romania, acquistato dal gruppo indiano e diventato «una landa desolata».

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