«Intimidita da Trump» La deposizione-choc dell’ex ambasciatrice
Tweet del presidente durante l’audizione: «Pessima» Pelosi, la leader democratica alla Camera: «È un reato»
Alle 10.01 un tweet di Donald Trump imprime una svolta alla giornata e forse all’intera procedura di impeachment: «Ovunque sia andata Marie Yovanovitch si è rivelata pessima. Ha cominciato in Somalia, e com’è andata? Poi si è spostata in Ucraina dove il nuovo presidente ha parlato molto male di lei nella mia seconda telefonata. Il presidente americano ha il diritto assoluto di nominare gli ambasciatori». Il flash irrompe nell’aula della Commissione Intelligence della Camera, dove l’ex ambasciatrice americana a Kiev, Maria Yovanovitch, ha appena terminato di leggere la sua dichiarazione di apertura. È la seconda giornata di audizioni pubbliche: la prima, mercoledì scorso è stata seguita da 13,3 milioni di spettatori. Il democratico Adam Schiff presiede la seduta. Si rivolge alla testimone: «In questo momento il presidente la sta attaccando, quale effetto pensa possa avere su altre persone che potrebbero venire qui a riferire di comportamenti scorretti?» L’ambasciatrice è scossa: «È un atto intimidatorio». Ora il tweet potrebbe diventare di per se stesso materia di impeachment. Lo conferma la Speaker della Camera Nancy Pelosi: «L’intimidazione dei testimoni è un reato».
Si riparte dalla telefonata del 25 luglio, in cui Trump chiese al leader ucraino Volodymyr Zelensky di riaprire un’indagine su Hunter Biden, il figlio dell’ex vice presidente. In quella conversazione il presidente americano denigrò l’ambasciatrice Yovanovitch che, in effetti, venne rimossa dall’incarico e rientrò a Washington il 20 maggio successivo. Ieri la diplomatica ha detto di essere rimasta «scioccata e sconvolta» nel leggere i giudizi del presidente: «Ho avvertito una grande minaccia incombere su di me». Ha quindi offerto la sua versione dei fatti. Tra gennaio e aprile di quest’anno Rudy Giuliani allaccia stretti contatti con Yuriy Letsenko, Procuratore generale dell’ucraina che assicura di voler riaprire l’inchiesta sul board della Burisma, di cui faceva parte anche il figlio di Biden. Letsenko è una figura molto controversa: fu condannato per corruzione nel 2010 e graziato dall’allora presidente filo russo Viktor Yanukovich.
Letsenko e Giuliani si trovano davanti un ostacolo: Yovanovitch, 33 anni di carriera al servizio di sei amministrazioni, quattro repubblicane e due democratiche. L’ambasciatrice avvisa il Dipartimento di Stato: «Sono vittima di una campagna di disinformazione». Inoltre chiede spiegazioni sul ruolo di Giuliani in Ucraina. Ma in aprile il ministero guidato da Mike Pompeo le comunica che deve rientrare «per motivi di sicurezza personale». «Il Dipartimento di Stato venne come svuotato dall’esterno», è la conclusione di Yovanovitch.
Via libera, allora, alle pressioni e alle minacce di Trump: indagate su Biden, oppure vi blocco gli aiuti militari. I repubblicani difendono il presidente: nulla di nuovo, tutte informazioni di seconda mano.
In serata arriva un’altra brutta notizia per la Casa Bianca. La Corte federale di Washington ha condannato Roger Stone, amico di lunga data di Trump: sei capi di imputazione, tra cui falsa testimonianza al Congresso. Il presidente ha commentato su Twitter: «Lui è condannato e perché no la corrotta Hillary?»