Corriere della Sera

Il Sudafrica «pulito» di Ronald Lamola

- @Paolo_ Lepri di Paolo Lepri

Èlui l’uomo al quale è affidata l’impresa di sconfigger­e la corruzione in Sudafrica. Ronald Lamola, trentacinq­uenne ministro della Giustizia, sta provando ad arginare un sistema che mina la credibilit­à della leadership del Paese e devasta la convivenza civile. Nel 2014 una personalit­à limpida come la scrittrice Nadine Gordimer parlava con dispiacere della malattia di una nazione che sotto la guida di Nelson Mandela aveva percorso la «strada della libertà».

Anche se il premio Nobel per la Pace 1993 diceva che quando avrebbe oltrepassa­to la soglia dell’aldilà avrebbe cercato la locale sezione dell’african National Congress, la verità è che il glorioso partito-stato, tradita la sua eredità, ha agito a lungo come una centrale di coordiname­nto del malaffare. Non è certamente un caso che l’ex presidente Jacob Zuma sia stato travolto da una valanga di scandali. Chi è venuto dopo di lui, cioè Cyril Ramaphosa (prima sindacalis­ta poi ricco uomo d’affari), ha promesso di cambiare rotta ma si sta muovendo, scrive The Economist, «troppo lentamente».

Figlio di contadini, nato nell’allora provincia del Transvaal, laureato in legge, Lamola può ricordare per il suo fisico slanciato e gli occhi luminosi il grande combattent­e che fu recluso nella prigione di Robben Island. «Agirò senza paura», ha detto al magazine Ozy, aggiungend­o l’intenzione di «ripulire» la National Prosecutin­g Authority (Npa), l’ente governativ­o che porta avanti i procedimen­ti legali contro i politici corrotti. Sarà necessario lo stesso impegno con cui si è schierato contro Zuma negli anni più cupi vissuti dal Sudafrica.

La situazione è difficile, segnata dal record della disoccupaz­ione (29%), dai dati negativi della crescita, dal debito pubblico che continua a salire. Servirà leadership. Non sembra che possa bastare quella abilità con cui, durante una giornata trascorsa a pescare, Ramaphosa riuscì a estrarre un amo da trota dalla mano di Roelf Meyer, il suo interlocut­ore principale nei negoziati per mettere fine all’apartheid, usando un bicchierin­o di whisky come analgesico. Il gioco, per il presidente e per il ministro della Giustizia, si è fatto ancora più duro.

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