Il muro sulle spalle e la fatica di essere umani
Simbolico, concreto, fisico il muro che il performer greco Dimitris Papaioannou porta con sforzo estremo sulle spalle (così come il macigno di Sisifo), per poi fenderlo brutalmente con il proprio corpo. Ma questa azione di sfondare una barriera (realmente l’opera installativa da «aggredire») diventa ancora più dirompente quando non è solo individuale, ma coinvolge anche altri. Il senso della performance alla quale abbiamo assistito si può leggere anche così. Ed è sicuramente in grande sintonia con questo momento storico di rievocazione della caduta del muro di Berlino, avvenuta trent’anni fa. Ma anche così sarebbe solo una «citazione» visiva. Mentre Papaioannou e gli altri interpreti della performance
Sisyphus/trans/form (progetto creato in esclusiva italiana per la Collezione Maramotti, Max Mara e I Teatri di Reggio Emilia) usano quella breccia nel muro per moltiplicare, annodare i loro corpi — vestiti con formali completi da uomo — in una lotta tumultuosa di braccia, gambe, scarpe annullando le distinzioni di genere. La teatralità, la tensione dei gesti, la tematica del dramma sociale e personale, anche del proprio sé, la ricerca di un equilibro poggiante sullo squilibrio, il pericolo di «andare oltre», rimandano a quell’intenso messaggio che Jannis Kounellis, grande artista poverista di origine greca, ci ha consegnato come eredità: la tragedia e la fatica di essere umani.