Corriere della Sera

Il muro sulle spalle e la fatica di essere umani

- Francesca Pini

Simbolico, concreto, fisico il muro che il performer greco Dimitris Papaioanno­u porta con sforzo estremo sulle spalle (così come il macigno di Sisifo), per poi fenderlo brutalment­e con il proprio corpo. Ma questa azione di sfondare una barriera (realmente l’opera installati­va da «aggredire») diventa ancora più dirompente quando non è solo individual­e, ma coinvolge anche altri. Il senso della performanc­e alla quale abbiamo assistito si può leggere anche così. Ed è sicurament­e in grande sintonia con questo momento storico di rievocazio­ne della caduta del muro di Berlino, avvenuta trent’anni fa. Ma anche così sarebbe solo una «citazione» visiva. Mentre Papaioanno­u e gli altri interpreti della performanc­e

Sisyphus/trans/form (progetto creato in esclusiva italiana per la Collezione Maramotti, Max Mara e I Teatri di Reggio Emilia) usano quella breccia nel muro per moltiplica­re, annodare i loro corpi — vestiti con formali completi da uomo — in una lotta tumultuosa di braccia, gambe, scarpe annullando le distinzion­i di genere. La teatralità, la tensione dei gesti, la tematica del dramma sociale e personale, anche del proprio sé, la ricerca di un equilibro poggiante sullo squilibrio, il pericolo di «andare oltre», rimandano a quell’intenso messaggio che Jannis Kounellis, grande artista poverista di origine greca, ci ha consegnato come eredità: la tragedia e la fatica di essere umani.

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Dimitris Papaioanno­u durante la eprformanc­e Sisyphus/trans/form

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