La Siria verso il Mondiale con i gol del bomber amato da regime e ribelli
Le reti di Al Somah regalano un sorriso a un Paese in guerra
Ogni volta che GERUSALEMME l’arbitro fischia la fine, l’orologio interno di Alaa Al Shbli misura altri novanta minuti di angoscia. Sette anni e novanta minuti in più senza poter sapere che cosa sia successo al padre, portato via dagli sgherri del regime per aver acclamato i ribelli. Lo stesso regime che adesso Alaa deve ringraziare in conferenza stampa dopo aver sudato con la maglia siriana.
Firas Al Khatib ha segnato più gol di tutti (36) per la Nazionale e il record resta suo anche se dal 2012 al 2017 si è rifiutato di giocare in patria, mentre «il governo bombarda i civili». È tornato per aiutare la squadra a conquistare un posto al Mondiale in Russia, ci sono andati vicini, sconfitti allo spareggio dall’australia. È tornato anche se le truppe di Bashar Assad i civili li bombardano ancora, «è stata una decisione difficilissima, spaccacuore. Comunque vada 11 milioni di siriani mi ameranno, gli altri 11 milioni mi vorranno ammazzare». L’attaccante — si è ritirato lo scorso settembre a 36 anni — sperava di lottare in campo per la metà della popolazione rimasta senza una casa, scappata dalle bombe, ammassata nei campi rifugiati.
Anche Omar Al Somah ha scelto l’esilio — nei club sauditi — dopo aver celebrato una vittoria avvolgendosi con la bandiera simbolo dei rivoltosi. Giovedì sera è stato il protagonista delle azioni che hanno permesso di battere la Cina 2-1. Troppo per Marcello Lippi che ha dato le dimissioni, accettate per ora da Pechino:
la Cina resta indietro cinque punti, la Siria guida il girone di qualificazione al Mondiale del 2022 ed è quasi certa di raggiungere la fase successiva.
La nazionale è all’83° posto nel ranking internazionale, rappresenta un Paese devastato da quasi otto anni di guerra civile, è costretta a giocare le partite in casa negli stadi delle nazioni che ancora mantengono relazioni diplomatiche con il governo. Ha ricominciato a vincere, ad avvicinarsi al sogno di andare in Qatar, quando Assad ha garantito l’amnistia ai campioni che si erano schierati con i manifestanti scesi in strada per chiedere le riforme.
I morti del conflitto sono oltre mezzo milione, le Nazioni Unite hanno smesso di contarli. Il clan al potere è sopravvissuto grazie al sostegno dei russi e degli iraniani, ha ripreso il controllo sulla maggior parte del Paese, sfrutta questi trionfi della Nazionale trasmessi su grande schermo nelle piazze di Damasco: il precedente allenatore Fajer Ibrahim si è presentato a un incontro a Singapore indossando una maglietta con sopra stampata la foto di Assad.
I critici dicono che Omar Al Somah «è stato coperto di denaro», che riportarlo in Siria «favorisce la propaganda del regime». Eppure i suoi gol esaltano anche i rifugiati che lo seguono dalle tende nei campi sparsi tra il Libano, la Turchia e la Giordania. Le divisioni settarie che hanno frantumato il Paese sembrano ricomporsi per i 90 minuti: Somah e Khatib sono sunniti come la maggioranza che si è ribellata al dominio alauita incarnato dagli Assad (e alauita è il portiere Ibrahim Alma), l’attaccante Mardik Mardikian è armeno, il centrocampista Tamer Haj Mohamad circasso.
Gli atleti più noti hanno partecipato alle prime manifestazioni pacifiche nel marzo del 2011, sono stati travolti — come gli altri oppositori — dalla repressione. Incarcerati, torturati, scomparsi: tre giocatori della Nazionale sono ancora nelle celle della polizia segreta, racconta il giornalista sportivo Anas Ammo al quotidiano britannico Daily Telegraph. Alcuni hanno scelto di imbracciare le armi: Abdelbaset Sarout è stato bollato come un traditore e bandito dai campi per aver partecipato ai cortei nella città di Homs. È diventato un capo delle milizie, è morto nei combattimenti lo scorso giugno, tutti lo conoscevano come «il portiere della rivoluzione».
Fatale per Lippi La vittoria sulla Cina ha decretato la fine di Marcello Lippi che si è dimesso da c.t.