Corriere della Sera

Dove vanno i 5 Stelle

In ordine sparso, tra governisti e tentati dalla Lega. L’ombra della scissione

- Di Monica Guerzoni e Alessandro Trocino

In Aula, lo sguardo di Luigi Di Maio non incrocia mai quello di Giuseppe Conte. Più spesso finisce per dirigersi verso il leghista Garavaglia, che fu viceminist­ro dell’economia. Occhiate d’intesa, forse di nostalgia, che fanno il paio con i capannelli del giorno dopo a Montecitor­io, dove gruppuscol­i di 5 Stelle dispersi confabulan­o con deputati leghisti, nella parte degli adescatori. Il più attivo è Giancarlo Giorgetti: «Ha ragione Di Maio, per una volta che è coerente, perché gli date contro?». Ma è lo stesso Giorgetti che un attimo dopo scherza: «Cinque Stelle? Ma no, sono quattro, tre, due, una». Gioco di parole che allude al progressiv­o prosciugar­si del Movimento. Fonti leghiste assicurano che già quattro senatori hanno accettato il trasbordo nella Lega e altri starebbero per cedere.

Voci, spesso interessat­e. Ma che si innestano in un quadro complesso, che vede un ministro degli Esteri sempre più inquieto e un Movimento che va veloce in direzione scissione. È una partita che mette a rischio il governo e che ha molti protagonis­ti, uno per ogni anima del «fu» primo partito. Da una parte c’è Di Maio, che fa ormai apertament­e asse con Alessandro Di Battista e non nasconde l’ostilità all’esecutivo che lui stesso ha formato. Dall’altra ci sono i «governisti», che cercano riparo nella terra di confine tra il premier Conte e il Pd. Infine il consistent­e gruppo dei deputati a fine corsa, arrivati al secondo mandato e non più ricandidab­ili.

Il patto con Di Battista

Di Maio non ha mai digerito il governo con il Pd. Nella riunione che diede il via libera al Conte 2, fu tra i più ostili. La riluttanza è andata crescendo e lo ha portato a riscoprire Di Battista, con il quale era entrato in rotta di collisione e che ora non perde occasione per sostenerlo, in chat o pubblicame­nte. «Prima o poi si dovrà staccare la spina», ripete Di Maio ai suoi, con una tale insistenza da aver generato il panico tra i parlamenta­ri. «Si chiude la legge di Bilancio e Luigi manda tutti a casa», prevede un onorevole. E una «contiana», sottovoce: «Vuole tornare voglia con davvero Salvini». mettersi Temono alla testa di un movimento rinnovato e più piccolo, libero dal Pd e dal giogo del governo e pronto a risalire nei sondaggi, tornando magari ad allearsi con la Lega. Se pure la suggestion­e fosse forte, sarebbe osteggiata da gran parte dei fedelissim­i. L’ultimo scontro risale a ieri. Il «capo» aveva chiesto al gruppo della Camera di chiudere il teatrino sul capogruppo eleggendo Francesco Silvestri. Ma i deputati si sono ribellati all’«imposizion­e dall’alto» e hanno preso tempo. Tra i pochi a seguire Di Maio sulla linea della rottura sarebbero allora Di Battista e Paragone, da sempre filoleghis­ta, mentre persino Fraccaro e Bonafede hanno

preso a rispondere a muso duro alle minacce di crisi di «Luigi».

Grillo solo parlante

L’unico Maio, per che statuto, può fermare è Beppe Di Grillo. Il quale però non può usare l’arma finale, se non a rischio di far cadere un governo a cui tiene più del capo politico. Così si limita a una moral suasion che, nell’ultimo caso, non ha sortito effetto. Di Maio dopo il colloquio con Grillo non ha cambiato di una virgola il suo atteggiame­nto. Anzi, forse l’ha indurito. Quanto a Grillo, non sembra disposto a sostenere i rivoltosi e in caso di scissione potrebbe ritirarsi sull’aventino.

Sfida per la leadership

Se lunedì l’aria nei gruppi era «irrespirab­ile», molto lo si deve alla rivalità tra Di Maio e Conte. Lo scontro sul Mes viene spiegato anche in questa chiave. I rapporti tra i due si sono di nuovo interrotti, anche perché Di Maio sospetta che il premier lavori per sottrargli parlamenta­ri in vista di un futuro partito «alla Monti». E dire che fu proprio l’attuale inquilino della Farnesina a infilare il giurista pugliese nella rosa dei papabili ministri, nel mai nato

monocolore 5 Stelle. Conte

raccontò: «Quando mi hanno telefonato, per onestà intellettu­ale dissi che non li avevo votati». Eppure il premier è

stato sempre considerat­o uno

del M5S. Almeno fino a quando Di Maio ha cominciato a temerlo (e a combatterl­o).

Le correnti

Le correnti organizzat­e non hanno mai attecchito nel M5S, ma si possono individuar­e gruppi di deputati che si muovono all’unisono. Ci sono quelli che fanno riferiment­o al presidente Roberto Fico e c’è il correntone virtuale dei «morti viventi», come li chiama qualcuno, cioè gli 86 parlamenta­ri al secondo mandato. Tra loro lo stesso Fico e poi Castelli, Di Stefano, Ruocco, Sibilia, Bonafede. Tutti onorevoli che, salvo improbabil­i ripescaggi al governo, dovrebbero smettere di fare politica. Ecco perché, se Maio decidesse di spingere per una fine prematura della legislatur­a, potrebbero diventare i nuovi «responsabi­li» pronti a resistere per salvare il soldato Conte (e loro stessi).

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy