Corriere della Sera

L’UE non è attrezzata per un mondo governato dalla legge del più forte

Istituzion­i spiazzate: erano nate in un’epoca di dialogo

- di Federico Fubini

Esattament­e tra una settimana il mondo inizierà a funzionare in modo diverso da come ha fatto per l’ultimo quarto di secolo. L’11 dicembre l’organismo di appello dell’organizzaz­ione mondiale del Commercio (Wto) si ferma, perché non ha più abbastanza giudici: ne vanno in pensione due e non verranno sostituiti, dal momento che la Casa Bianca di Donald Trump sta bloccando qualunque nuova nomina. Gli arbitri del Wto smetterann­o di operare, dopo aver regolato mezzo migliaio di contenzios­i sul 98% del commercio mondiale fra i 164 Paesi che riconoscon­o la sua autorità.

O la riconoscev­ano. Perché ora non più: in assenza di organismi multilater­ali che facciano rispettare regole condivise, la legge del più forte diventa la sola credibile. Gli Stati

Uniti possono imporre dazi punitivi praticamen­te su qualunque altra economia, nell’idea che gli altri Paesi abbiano bisogno di mantenere buoni rapporti con la prima superpoten­za mondiale più quanto essa abbia bisogno di loro. Finisce così un trentennio di integrazio­ne basata sul diritto internazio­nale e sul principio di apertura.

Torna un’epoca imperiale: Trump può minacciare dazi esorbitant­i sui prodotti francesi perché Parigi — o magari tra un mese Roma — cerca di far pagare una quota ragionevol­e di tasse ai colossi mondiali della tecnologia; Pechino può subdolamen­te condiziona­re il pieno accesso delle auto o dei treni tedeschi in Cina a un contratto perché Huawei sviluppi la nuova rete digitale della Germania; e se le imprese italiane continuano a fare affari con l’iran, si trovano tagliate fuori da Wall Street e dalle transazion­i in dollari. La moneta americana, l’accesso ai mercati più grandi, la leadership tecnologic­a non sono più solo dimensioni del successo economico o finanziari­o. Sono diventate armi geopolitic­he. E l’europa non è ancora pronta a vederle come tali, per gestirle, proteggers­i o conquistar­e spazi nella competizio­ne globale.

Perché si può deprecare il ritorno alla politica di potenza che un secolo fa strozzò la prima globalizza­zione e trascinò l’europa in guerra. Ma non si può mettere la testa nella sabbia. Vista da Bruxelles, Francofort­e, Parigi, Berlino o da Roma, questa è la nuova realtà con la quale gli europei dovrebbero misurarsi se solo ne fossero capaci. Non lo sono. L’euro resta un cantiere fragile e incompleto, privo di quelle risorse comuni che alla lunga saranno necessarie.

Le regole e istituzion­i della moneta mettono ancora i governi gli uni contro gli altri. I tentativi di diffondere la valuta europea come valore di riserva internazio­nale hanno avuto risultati mediocri. Anche il veicolo che l’ue voleva creare per aggirare l’embargo sull’iran ha fallito. E l’antitrust di Bruxelles, l’arma europea più efficace, oggi è più fragile di quanto appaia. Di recente Margrethe Vestager ha avviato un’indagine sull’accumulo e il potenziale abuso dei dati da parte di Facebook o di Google. Il commissari­o Ue alla Concorrenz­a affronta così una questione urgente e lo fa — molto bene — con gli strumenti del diritto. Ma che succede se, dopo un’altra multa a Facebook o a Google, Trump reagisce sbarrando il mercato americano alla moda italiana o al vino francese?

Questo presidente è capace di farlo e sembra imprudente contare sul fatto che il prossimo torni al mondo di ieri. Minacciand­o di colpire la Francia o anche l’italia perché tassano le Big Tech, la Casa Bianca di fatto sta persino difendendo i paradisi fiscali che quelle utilizzano. Funziona così il mondo senza regole di questo scorcio di secolo. L’unione Europea si regge ancora su eccellenti istituzion­i fatte per l’età dell’oro del secolo scorso. Essa è la nostra sola speranza per prosperare in questo, ma deve accettare che è tornata l’età del ferro.

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