L’UE non è attrezzata per un mondo governato dalla legge del più forte
Istituzioni spiazzate: erano nate in un’epoca di dialogo
Esattamente tra una settimana il mondo inizierà a funzionare in modo diverso da come ha fatto per l’ultimo quarto di secolo. L’11 dicembre l’organismo di appello dell’organizzazione mondiale del Commercio (Wto) si ferma, perché non ha più abbastanza giudici: ne vanno in pensione due e non verranno sostituiti, dal momento che la Casa Bianca di Donald Trump sta bloccando qualunque nuova nomina. Gli arbitri del Wto smetteranno di operare, dopo aver regolato mezzo migliaio di contenziosi sul 98% del commercio mondiale fra i 164 Paesi che riconoscono la sua autorità.
O la riconoscevano. Perché ora non più: in assenza di organismi multilaterali che facciano rispettare regole condivise, la legge del più forte diventa la sola credibile. Gli Stati
Uniti possono imporre dazi punitivi praticamente su qualunque altra economia, nell’idea che gli altri Paesi abbiano bisogno di mantenere buoni rapporti con la prima superpotenza mondiale più quanto essa abbia bisogno di loro. Finisce così un trentennio di integrazione basata sul diritto internazionale e sul principio di apertura.
Torna un’epoca imperiale: Trump può minacciare dazi esorbitanti sui prodotti francesi perché Parigi — o magari tra un mese Roma — cerca di far pagare una quota ragionevole di tasse ai colossi mondiali della tecnologia; Pechino può subdolamente condizionare il pieno accesso delle auto o dei treni tedeschi in Cina a un contratto perché Huawei sviluppi la nuova rete digitale della Germania; e se le imprese italiane continuano a fare affari con l’iran, si trovano tagliate fuori da Wall Street e dalle transazioni in dollari. La moneta americana, l’accesso ai mercati più grandi, la leadership tecnologica non sono più solo dimensioni del successo economico o finanziario. Sono diventate armi geopolitiche. E l’europa non è ancora pronta a vederle come tali, per gestirle, proteggersi o conquistare spazi nella competizione globale.
Perché si può deprecare il ritorno alla politica di potenza che un secolo fa strozzò la prima globalizzazione e trascinò l’europa in guerra. Ma non si può mettere la testa nella sabbia. Vista da Bruxelles, Francoforte, Parigi, Berlino o da Roma, questa è la nuova realtà con la quale gli europei dovrebbero misurarsi se solo ne fossero capaci. Non lo sono. L’euro resta un cantiere fragile e incompleto, privo di quelle risorse comuni che alla lunga saranno necessarie.
Le regole e istituzioni della moneta mettono ancora i governi gli uni contro gli altri. I tentativi di diffondere la valuta europea come valore di riserva internazionale hanno avuto risultati mediocri. Anche il veicolo che l’ue voleva creare per aggirare l’embargo sull’iran ha fallito. E l’antitrust di Bruxelles, l’arma europea più efficace, oggi è più fragile di quanto appaia. Di recente Margrethe Vestager ha avviato un’indagine sull’accumulo e il potenziale abuso dei dati da parte di Facebook o di Google. Il commissario Ue alla Concorrenza affronta così una questione urgente e lo fa — molto bene — con gli strumenti del diritto. Ma che succede se, dopo un’altra multa a Facebook o a Google, Trump reagisce sbarrando il mercato americano alla moda italiana o al vino francese?
Questo presidente è capace di farlo e sembra imprudente contare sul fatto che il prossimo torni al mondo di ieri. Minacciando di colpire la Francia o anche l’italia perché tassano le Big Tech, la Casa Bianca di fatto sta persino difendendo i paradisi fiscali che quelle utilizzano. Funziona così il mondo senza regole di questo scorcio di secolo. L’unione Europea si regge ancora su eccellenti istituzioni fatte per l’età dell’oro del secolo scorso. Essa è la nostra sola speranza per prosperare in questo, ma deve accettare che è tornata l’età del ferro.