Un enigma solo al comando Xi Jinping tira la volata alla Cina
Gennaro Sangiuliano narra in «Il nuovo Mao» (Mondadori) la biografia del leader
Pezzetti di scotch come una metafora. Il 15 novembre 2012, in una delle aule della Grande sala del popolo — il palazzo del potere sul lato occidentale della piazza Tienanmen, a Pechino — corte strisce di nastro adesivo segnavano la posizione che sul tappeto rosso avrebbe dovuto occupare Xi Jinping, appena votato segretario generale del Partito comunista cinese al termine dello shi ba da, il diciottesimo Congresso. Quando Xi fece il suo ingresso per il discorso inaugurale del mandato, seguito dagli altri sei membri del comitato permanente del Politburo, andò a collocarsi esattamente nella posizione indicata dallo scotch. Lì dove doveva essere, con i compagni ai suoi lati, tre e tre: lì dove dovevano stare, anche loro.
L’uomo giusto al posto giusto nel momento giusto. Sepolto Mao Zedong — anzi, imbalsamato, che è un’altra cosa... — la Cina ha pianificato la propria ascesa senza lasciare nulla al caso, neppure le carriere personali, che rispondono (confucianamente) a un disegno più alto, per il bene del Paese e del Partito. È stato così anche per Xi Jinping, l’unico leader mondiale in grado di rivestire il ruolo di antagonista di Donald Trump. Con una differenza: che se del presidente americano conosciamo molto, benché forse non tutto quello che dovremmo, del presidente della Repubblica popolare ignoriamo molto, praticamente tutto. E, visto da Pechino, è giusto così: mai dare vantaggi all’avversario.
Un paradosso. L’uomo che governa l’emersione della Cina e il suo imporsi come superpotenza globale accanto agli Usa resta, per la quasi totalità dell’opinione pubblica mondiale, una specie di enigma. Ne prende atto e sfida l’anomalia Il nuovo Mao. Xi Jinping e l’ascesa al potere nella Cina di oggi, il volume edito da Mondadori che Gennaro Sangiuliano ha dedicato all’ideatore della categoria social-politico-psicologica del «sogno cinese» e soprattutto ideatore della «nuova via della seta» (One Belt One Road in inglese), ambizioso piano di penetrazione commerciale e strategica nell’ampio teatro eurasiatico.
Senza avere bisogno di ricorrere al dettaglio dello scotch, Sangiuliano segue il percorso del sessantaseienne Xi dagli inizi, e dagli inizi degli inizi: cioè prima dello stesso Xi Jinping. Perché l’attuale leader era, in qualche misura, un predestinato, non un outsider pescato dal Partito. Suo padre Xi Zhongxun era stato un compagno di Mao nella Lunga marcia dei comunisti, vicepremier, vicepresidente dell’assemblea nazionale (il parlamento), dunque un esponente autorevole dell’aristocrazia rossa. Bastavano queste ascendenze, al netto dell’emarginazione e degli abusi patiti durante la Rivoluzione culturale (1966-76), a indicare che Xi Jinping sarebbe asceso nella gerarchia della Cina comunista.
E poiché ogni leader deve sperimentare in proprio una sua «lunga marcia» esistenziale che ne forgi capacità e temperamento, ecco che nella mitologia di Xi Jinping, alimentata dalla propaganda che cura il culto della personalità, spuntano le domande di ammissione al Pc ripetutamente respinte, quindi il sospirato ingresso tra i quadri del Partito (1974), l’università Tsinghua (diventerà ingegnere chimico), l’apprendistato in un villaggio, poi sotto l’ala del generale Geng Biao, infine di nuovo in periferia, per avviare la scalata al vertice.
Al centro del libro di Sangiuliano sta la ricezione in Occidente della figura di Xi Jinping, al quale una clamorosa riforma istituzionale ha dato poteri immensi e ha tolto il limite dei due mandati consecutivi alla guida del Partito. Il nuovo Mao è un invito, tanto più accorato in quanto non viene da un sinologo, a considerare le specificità del potere cinese e delle sue forme, a evitare di valutare ciò che accade a Pechino con il metro che funziona a Washington, magari a Bruxelles, forse a Mosca. Le moderate concessioni allo showbiz politico, come l’ostensione della brillante moglie Peng Liyuan (ex cantante della sezione artistica dell’esercito popolare di liberazione), non nascondono la volontà di un uomo che è, però, la forza di un sistema. L’aver vissuto in Iowa, e dunque sperimentato l’america, o spedito la figlia a studiare ad Harvard (sotto falso nome), non lo ammorbidisce, anzi.
L’autore vede scivolare «l’italia nella tela del ragno» della penetrazione economica cinese e parla di un «espansionismo» con il «volto della minaccia tecnologica». A Pechino, scrive Sangiuliano, invece del «rassicurante soft power» ora «si è scelto un altro messaggio, quello della superpotenza tecnologica e militare». Per cominciare, tocca almeno saperlo riconoscere.
Segretario generale Non un outsider ma un figlio dell’«aristocrazia rossa». Una lunga gavetta, poi il vertice