Giuseppe Bevilacqua, il germanista poeta
Scrittore poliedrico, era stato assistente di Ladislao Mittner e aveva insegnato a Firenze
Èmorto a a 93 anni Giuseppe Bevilacqua, insigne germanista, sommesso narratore e poeta. Nato a Treviso nel 1926, assistente di Ladislao Mittner alla Ca’ Foscari di Venezia, docente di Letteratura tedesca a Firenze dal 1967 al 2000, nei suoi studi ha indagato l’universo poetico di Paul Celan (di cui ha tradotto e curato i testi del Meridiano Mondadori), percorso il legame tra poesia e follia in Hölderlin, tradotto (in rima) uno dei grandi poeti del Novecento, Gottfried Benn, e ricostruito le origini del Romanticismo tedesco in poderosi saggi definiti da Claudio Magris «la più originale e persuasiva indagine esistente sull’argomento, che aiuta a capire a fondo pure la stagione culturale che stiamo ancora vivendo, il moderno e il suo trapasso nel post-moderno».
Studioso di formazione materialista che coniugava a una inclinazione per l’assoluto lirico, a Tubinga, dov’era andato dopo la laurea, aveva conosciuto Ernst Bloch e György Lukács di cui era stato un precoce ammiratore. Bevilacqua era anche un narratore dalla notevole forza orale, radicata in quell’humus della provincia veneta da cui proveniva (Oderzo era il luogo di dimora della famiglia).
Aveva pubblicato anche il romanzo L’alzata di Meissen (Mondadori), incentrato su un professore e sul suo soggiorno in una villa sul lago di Como; la raccolta poetica Un pennino di stagno (Il ponte del Sale, a cura di Andrea Zanzotto di cui era amico) e Villa Gradenigo (Einaudi), un malinconico racconto veneto di formazione in cui, piene di grazia, riecheggiano memorie famigliari e ambientazioni d’epoca, con cui aveva vinto il Premio Comisso.
Nel 2015 da Le Lettere era uscito Pagine di un lungo diario, a cura di Maria Fancelli, in cui, insieme ai riferimenti ai grandi poeti e scrittori di lingua tedesca (Celan, Bachmann, Rilke ed altri), raccontava fatti, paesaggi, opere d’arte, amicizie, storie di vita vissuta lungo l’arco di quasi un cinquantennio (tra il 1966 e il 2009). Un memoir a cui il pensiero della morte e dell’inderogabile valzer degli addii non era estraneo.