Corriere della Sera

IL RITORNO DI DUE POLI

- Di Paolo Mieli

Qualche sera fa Giuseppe Conte ha invitato i suoi ministri a una cena natalizia per festeggiar­e tutti assieme l’approvazio­ne della manovra. A sorpresa, al momento del panettone, il titolare dell’economia, Roberto Gualtieri, si è fatto portare una chitarra e — come è ormai in uso in svariate chiese nonché sui palchi delle Sardine — ha intonato «Bella ciao». I suoi colleghi si sono immediatam­ente uniti al coro e hanno cantato con lui. Unico che, riferisce un breve articolo del Messaggero, «nonostante le esortazion­i dei colleghi» se n’è stato silenzioso in disparte, Luigi Di Maio. Ma, puntualizz­a la cronaca del giornale di Roma, «è rimasto zitto, sorridendo». Si può avanzare l’ipotesi che il ministro degli Esteri non abbia voluto cantare con gli altri per il fatto che, a causa di alcune peculiarit­à familiari (suo padre, Antonio, militava nel Msi), da piccolo non ha avuto occasione di imparare le parole dell’inno partigiano. ll suo sorriso, però, è valso da benedizion­e alla cerimonia che chiudeva una giornata tutta particolar­e.

Quel giorno il segretario del Pd Nicola Zingaretti aveva gratificat­o Conte definendol­o — in un’intervista a questo giornale — «autorevole», «colto», «veloce», «sagace» sotto il profilo tattico. Aggiungend­o che lo stesso Conte ormai è «oggettivam­ente» un «punto fortissimo di riferiment­o per tutte le forze progressis­te». Compliment­i (confermati in successive dichiarazi­oni pubbliche) che, a memoria nostra, mai furono riservati ad altri interlocut­ori del principale partito della sinistra. Neanche a Romano Prodi o a Mario Monti. E neppure a Carlo Azeglio Ciampi, quantomeno fino a quando non fu eletto Presidente della Repubblica.

E’ evidente a questo punto che nell’agosto del 2019 si è verificato qualcosa di più di un cambio di maggioranz­a e che ai primi di settembre il Pd non ha sempliceme­nte preso il posto della Lega nel ruolo di partner di governo del M5S. In centoventi giorni si è avviata la costruzion­e di un nuovo edificio politico. Dopo quel che è accaduto negli ultimi quattro mesi, è davvero molto difficile, ad ogni evidenza, che i grillini possano tornare a cercare sponde nel partito di Matteo Salvini.

In particolar­e dopo lo scontro sul caso della nave Gregoretti. Nei fatti — al di là delle dichiarazi­oni pubbliche — i seguaci di Luigi Di Maio stanno mettendo radici nel campo del centrosini­stra. Conte è stato il primo ad accorgerse­ne, proponendo­si come interlocut­ore (e garante) di questa nuova fase politica. Di Maio e Davide Casaleggio sono stati più lenti (o più restii). Ma i giochi paiono essere fatti: in futuro il Movimento Cinque Stelle avrà un unico forno, quello di sinistra, in cui far cuocere il proprio pane.

Questa circostanz­a produrrà nel lungo periodo un effetto di stabilizza­zione del sistema. Nel senso che, se fino alla fine dello scorso luglio la sinistra aveva scarsissim­e chance competitiv­e in un futuro confronto elettorale con la destra, adesso i due schieramen­ti dispongono in partenza di forze pressoché equivalent­i. Nell’anno precedente, come è noto, la Lega aveva sottratto al M5S metà dei consensi del 2018. Nei successivi quattro mesi di governo, il Pd, anziché proseguire nell’opera di svuotament­o dell’alleato, ha puntato verso un obiettivo più ambizioso, quello di sottomette­rlo. E, al di là delle apparenze, c’è sostanzial­mente riuscito. Può anche sembrare che il movimento di Di Maio abbia ottenuto più «risultati» di quelli avuti dal partito di Zingaretti. Ma quest’ultimo è riuscito ad imbrigliar­e lo scalpitant­e interlocut­ore e, pur non potendosi escludere che altri parlamenta­ri grillini scelgano di trasmigrar­e a destra, la «ragione sociale» del movimento (con tanto di insegne e simboli) resterà a far compagnia al Pd. E Conte sarà il garante di tale permanenza.

L’altro custode dell’intesa sarà Beppe Grillo che dal mese di agosto non ha avuto incertezze sul senso di marcia da imboccare. E’ tornato ad essere il Grillo delle origini e ha garantito sostegno a Di Maio ma a patto che questi si attenesse scrupolosa­mente alle linee guida da lui dettate. Del resto i ministri di affiliazio­ne pentastell­ata sembrano pensarla allo stesso modo del comico. Ieri, in un’intervista al Fatto, il titolare del dicastero dell’ambiente, Sergio Costa (già presente nel Conte I), ha ricordato che ai tempi del governo giallo-verde con la Lega «si partiva da posizioni distanti e spesso ognuno rimaneva della sua» mentre ora «ci si confronta molto di più». Adesso, riferisce Costa, «al Consiglio dei ministri parlano tutti» . Sicché per lui «è meglio restare in Cdm sei ore», come è accaduto qualche sera fa. Di più, Costa ha lasciato intendere che se Pd e M5S continuera­nno su questa strada e vorranno un candidato comune da presentare alle future elezioni regionali in Campania, lui si renderà disponibil­e.

Qui, visto che parliamo di elezioni regionali, va detto che le cose, per l’asse Pd Cinque Stelle, in vista del 26 gennaio, si mettono assai meglio di come apparisser­o un mese fa. In Emilia, Stefano Bonaccini rimane in testa nei sondaggi e in Calabria l’annunciato ritiro del governator­e uscente Mario Oliverio a vantaggio di Pippo Callipo, scelto dal Pd a fronte di un centrodest­ra che è ancora diviso, riequilibr­a una partita che sembrava persa in partenza. Significa questo che l’attuale maggioranz­a di governo è ormai solida e definitiva­mente stabile? Assolutame­nte no. Su scala nazionale il centrodest­ra, stando ai sondaggi, è ancora in vantaggio. E, al di là delle rilevazion­i demoscopic­he, lo è anche per l’evidenza del percorso compiuto in direzione di un assetto duraturo. Però gli episodi di litigiosit­à lungo il confine che divide il centrosini­stra dai Cinque Stelle, grosso modo uno al giorno, con l’andare del tempo appaiono più artificial­i che reali. Gli osservator­i indipenden­ti non fanno neanche in tempo ad «affezionar­si» a una questione che già si è passati a un’altra. Queste baruffe di contorno offrono poi a Conte e a Zingaretti l’opportunit­à di distrarre il partito di Matteo Renzi che, invece, le insegue una a una per marcare (inutilment­e) una propria caratteriz­zazione. Sicché Italia viva, forse anche per questa dispersion­e di energie, nei sondaggi resta inchiodata alle percentual­i del giorno del debutto. Sicché sembrano essere trascorsi mille anni luce dal giorno in cui fu proprio Renzi a far da levatrice per la nascita del Conte II.

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