Facilitatori «a tempo», il gruppo parte con un test di sei mesi
Tensioni, preoccupazioni, MILANO equilibri labili e test che si avvicinano. Il Movimento si guarda allo specchio alla fine del 2019 e si scopre più debole. A preoccupare i vertici non sono solo le frizioni in Parlamento, le problematiche relative a Rousseau, ma anche le questioni territoriali.
Beppe Grillo e Davide Casaleggio hanno dato il loro placet alla struttura dei «facilitatori», ne hanno discusso anche in un colloquio riservato alla Camera a margine dell’incontro con i parlamentari della scorsa settimana e hanno stabilito di darsi appuntamento per fare il punto sul team. C’è chi dice sei mesi di «test» per il gruppo per tracciare un primo bilancio, ma ambienti vicini a Luigi Di Maio negano ci siano «prove» all’orizzonte e indicano come «naturali» gli incontri per studiare il percorso. Passate le feste, prima dell’inizio del tour teatrale di Grillo, non è escluso un nuovo «punto» con Casaleggio (l’associazione Rousseau ha smentito ci sia distanza tra i due: «La protezione legale a tutela del garante e del M5S rimane come sempre»).
La parola chiave dei primi mesi 2020 è «ricompattare». Ecco allora gli Stati generali e la carta dei valori. Ma l’orizzonte è molto frastagliato. I sondaggi al Nord (non solo in
Emilia-romagna) danno il M5S sotto i minimi storici e diverse anime pentastellate sono preoccupate che il divario con il Sud esploda. La scelta di un europarlamentare coseau me Ignazio Corrao, siciliano di stanza a Bruxelles, per la delega agli Enti locali ha lasciato perplessità nei Cinque Stelle lombardi e veneti. Non solo. Anche la platea di Rousè nel mirino perché viene fatto notare che ormai il bacino di votanti è «preponderante» nel Meridione e in particolare nell’area d’origine di Di Maio e Roberto Fico. Ad aggiungere ulteriore tensione c’è il fatto che gioco forza il rilancio del Movimento passi dalle Regionali in Campania.
Ma «ricompattare» potrebbe significare indirettamente altri addii già prima della fine del 2019 : ci sono spinte perché i probiviri emettano le loro sentenze sui casi pendenti (in primis quello di Gianluigi Paragone) in tempi rapidi per dare un segnale al gruppo.