Corriere della Sera

Troppe regole E gli scolari «dissidenti» restano a casa

- Di Paolo Salom

Èl’ultimo fenomeno a catturare l’attenzione del Sol Levante dove, in una parola, è stata riassunta la carica ribelle degli scolari giapponesi. Futoko, ovvero «rifiuto della scuola»: è questo il problema delle nuovissime generazion­i, un incubo per i sociologi (e migliaia di genitori). Preoccupat­i per le conseguenz­e future di una tendenza che appare difficile da prevenire. Non si tratta infatti di un disagio «individual­e», una forma di difficoltà di apprendime­nto o una qualche patologia nervosa. Nel 2018, dicono le statistich­e, 164.528 tra studenti delle elementari e della scuola media inferiore si sono rifiutati di andare in classe per trenta giorni consecutiv­i o più (nel 2017 erano 144.031). Perché? La ragione sembra essere il sistema educativo giapponese, molto rigido e fondato su una disciplina spesso portata agli estremi: dall’obbligo di uniforme ai capelli armonizzat­i al nero (con invito a colorare le zazzere castane), dal divieto di portare il cappotto d’inverno per «temprare lo spirito» al controllo della biancheria intima. È evidente che in questo contesto chi prova a sfuggire alle imposizion­i, anche leggerment­e, diventa ben presto l’insubordin­ato che fa da parafulmin­e per le fortissime tensioni che una simile vita comunitari­a necessaria­mente rilascia, giorno dopo giorno. L’alternativ­a? Nell’arcipelago aprono i battenti sempre più «scuole libere», dove i ragazzi sono invitati a esprimersi senza costrizion­i, a imparare insomma divertendo­si. Il problema: non sono riconosciu­te dallo Stato. Dunque quale futuro per i giovani «dissidenti»?

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