Troppe regole E gli scolari «dissidenti» restano a casa
Èl’ultimo fenomeno a catturare l’attenzione del Sol Levante dove, in una parola, è stata riassunta la carica ribelle degli scolari giapponesi. Futoko, ovvero «rifiuto della scuola»: è questo il problema delle nuovissime generazioni, un incubo per i sociologi (e migliaia di genitori). Preoccupati per le conseguenze future di una tendenza che appare difficile da prevenire. Non si tratta infatti di un disagio «individuale», una forma di difficoltà di apprendimento o una qualche patologia nervosa. Nel 2018, dicono le statistiche, 164.528 tra studenti delle elementari e della scuola media inferiore si sono rifiutati di andare in classe per trenta giorni consecutivi o più (nel 2017 erano 144.031). Perché? La ragione sembra essere il sistema educativo giapponese, molto rigido e fondato su una disciplina spesso portata agli estremi: dall’obbligo di uniforme ai capelli armonizzati al nero (con invito a colorare le zazzere castane), dal divieto di portare il cappotto d’inverno per «temprare lo spirito» al controllo della biancheria intima. È evidente che in questo contesto chi prova a sfuggire alle imposizioni, anche leggermente, diventa ben presto l’insubordinato che fa da parafulmine per le fortissime tensioni che una simile vita comunitaria necessariamente rilascia, giorno dopo giorno. L’alternativa? Nell’arcipelago aprono i battenti sempre più «scuole libere», dove i ragazzi sono invitati a esprimersi senza costrizioni, a imparare insomma divertendosi. Il problema: non sono riconosciute dallo Stato. Dunque quale futuro per i giovani «dissidenti»?