Un equilibrio difficile
Giuseppe Conte sa di essere condannato al ruolo di trapezista. Il premier ha accettato il compito ed evitato ogni aspetto che potesse provocare attriti nel governo e nell’opposizione.
Nonostante ieri abbia cercato di rappresentarsi come uno sprinter che diverrà un maratoneta, Giuseppe Conte sa di essere condannato al ruolo di trapezista, perché in questa fase di transizione — chissà ancora quanto lunga — il suo equilibrismo è funzionale alla tenuta del governo, della legislatura e per certi versi del sistema. Il presidente del Consiglio ha accettato il compito e durante la conferenza stampa di fine anno ha evitato ogni aspetto che potesse provocare attriti nella sua maggioranza e persino in una parte dell’opposizione: ha sfruttato la retorica del «dialogo come metodo» per aggirare gli intralci programmatici che pure sono causa di conflitti quotidiani nel governo, e si è rimesso alla sovranità del Parlamento per non prendere posizione sui temi etici e sulla legge elettorale.
D’altronde per restare in equilibrio Conte deve fare affidamento sugli alleati e su una frangia consistente di avversari. Per questo motivo ha respinto l’ipotesi di gruppi parlamentari in suo nome: non gli convengono perché rischierebbero di destabilizzare il quadro politico, e non gli servono perché di «responsabili» sono piene le file delle opposizioni. In questo clima di larghe intese, l’attacco a Salvini è stato consequenziale, è stato l’altra faccia della strategia che mira a consolidare lo status quo: Salvini in fondo è la ragione dello status quo. In ogni passaggio difficile, basta evocare il capo della Lega per garantire a palazzo Chigi una tregua: per Conte insomma è una sorta di assicurazione sulla vita.
Ma l’affondo di ieri contro il segretario del Carroccio e contro il suo modo «insidioso» di esercitare la leadership nel gioco democratico, è stato anche il tentativo di spezzare il cordone ombelicale con la precedente esperienza di governo. E per quanto il Conte 2 abbia provato a lasciarsi alle spalle il Conte 1, l’operazione non è del tutto riuscita. Il fatto è che il passato si riflette sul presente, e non basta ammettere degli «errori» per mondarsi dalle responsabilità politiche: vale per i contestati decreti sicurezza voluti a suo tempo dalla Lega, come per il caso della nave Gregoretti, su cui il Tribunale dei ministri ha chiesto l’autorizzazione a procedere del Senato contro Salvini. È complicato per Conte prendere le distanze dalla linea dura sui migranti adottata dal suo ex ministro dell’interno, e il rapporto tra un premier e il titolare del Viminale non si stabilisce in base ai messaggi e alle mail che si scambiano, si basa sulla condivisione degli atti di governo. La vicenda fa parte delle tante contraddizioni che accompagnano fin dall’inizio questa legislatura, e Conte rappresenta la cerniera tra le due diverse fasi. Il suo compito, quello cioè di garantire la stabilità, rischia però di diventare un limite. Perciò, per evitare che l’immobilismo diventi la cifra del governo, il premier sta cercando di impostare un’agenda fino al 2023: un disegno ambizioso ma non si sa fino a che punto condiviso dalle forze della maggioranza. In questo senso Conte ha buon gioco a mettere alle strette gli alleati: «L’unica alternativa sarebbe andare a votare. Ma come si potrebbe poi chiedere ai cittadini la fiducia per fare cose che potremmo fare adesso?». Costantemente in bilico, nella gestione dell’emergenza quotidiana. Il premier conosce il ruolo fondamentale del Quirinale nel Paese: per questo è stato singolare il modo in cui ieri si è reso protagonista di una sgrammaticatura istituzionale, anticipando in conferenza stampa i nomi dei due ministri che sostituiranno il dimissionario Fioramonti. E in piena trance agonistica ha aggiunto di non pensare al suo futuro, sottolineandolo così: «I cittadini mi hanno chiesto di fare il presidente del Consiglio e io lo faccio». Ma per il trapezista la rete di protezione è sempre stesa: se resta in equilibrio lui, resta in equilibrio la legislatura.