I compiti per le vacanze e il dovere della scuola di insegnare la responsabilità
Gentile Paolo Di Stefano e gentile direttore, c’è già troppo odio in giro perché un giornale serio come il Corriere della Sera ne istighi dell’altro. Per di più contro un’istituzione come la scuola, sempre più indifesa e bersagliata.
Sono un’insegnante delle scuole medie e sono rimasta colpita dall’approccio del suo articolo sui compiti per le vacanze, perché fin dal titolo «Così la scuola si fa odiare» c’è un errore di fondo che, peraltro, è ricorrente non solo nei rapporti fra le famiglie e la scuola, ma in tutta la società: la contrapposizione invece che la collaborazione. E nemmeno una contrapposizione costruttiva, ma una che addirittura porta all’odio, altro sentimento — ahinoi! — troppo ricorrente ai giorni nostri. La scuola non «si fa odiare», la scuola viene fatta odiare da una società che ne svilisce in continuazione l’importanza e i valori (oltre ad aver depotenziato gli attori principali, noi professori, e averla impoverita a colpi di mannaia ad ogni finanziaria). Fra le righe del suo sfogo contro i compiti per le vacanze si percepisce la pretesa che l’istituzione si pieghi alle esigenze e ai capricci del cittadino. Pretesa tipica di questi tempi in cui ci si chiede solo e soltanto cosa può fare lo Stato per noi e, mai e poi mai, cosa possiamo fare noi per lo Stato. Il cruciale compito che ha la scuola, formare le nuove generazioni, viene sempre meno condiviso dalle famiglie che, in numero vieppiù crescente, invece di affiancare i professori, vi si contrappongono, stabilendo una controproducente alleanza con i figli. A questi si concede di credere che imparare non debba essere frutto di lavoro (che è, invece, l’unica strada), si aprono loro scorciatoie ovunque possibile, si fa loro credere che la responsabile del loro cattivo rendimento non è la loro pigrizia, bensì una qualche colpa o difetto del professore. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. E proprio sul suo giornale leggo, molto spesso, importanti editorialisti che se ne lamentano: una diffusa ignoranza e una delle più alte percentuali di analfabetismo funzionale in Europa, che sono, infatti, due fattori che mettono in grave pericolo il futuro del nostro Paese e della stessa democrazia. Due malattie che si curano con un’unica medicina: l’istruzione. E l’istruzione passa anche dai compiti, compresi quelli delle vacanze che lei, con un espediente giornalistico, decontestualizza ed elenca in modo quasi fantozziano. A proposito, le chiedo: sicuro che i capitoli di storia siano da «studiare» e non solo da «ripassare»? Sicuro che i 14 esercizi di grammatica inglese siano così gravosi e, in realtà, non siano giusto un paio di pagine? Così come i «12 esercizi di comprensione del testo» che detti così sembrano il programma di Analisi 2, ma spesso sono 12 domande alle quali rispondere con una o due frasi. Detto ciò, può anche essere che i compiti siano troppi, ma la sede giusta per discuterne è il consiglio di classe, nel quale affiancare i professori e provare a costruire insieme un percorso per l’obiettivo comune di cui sopra: dare un futuro ai ragazzi che educate insieme. Anche perché, senza tirare in ballo l’odio (che è una parola bruttissima), basterebbe dialogare in modo più proficuo. Sono certa che se sua figlia non svolgesse uno dei compiti assegnati, giustificata da lei con il fatto di aver visitato un museo o letto un libro, i professori sarebbero assai indulgenti. Lo sarebbero di meno se il tempo guadagnato avendo schivato lo studio fosse trascorso davanti alla playstation o, peggio, a un social network. Altrimenti è poi completamente inutile che gli editorialisti di cui sopra si lamentino di una popolazione che crede ciecamente alla più becera propaganda politica via Facebook o Twitter.
Gentile Professoressa, tutt’altro che odio. Nessuno nega l’utilità dei compiti. Come spiegavo nell’articolo, il timore è esattamente l’opposto: che dalla passione necessaria, o almeno auspicabile, si arrivi alla saturazione. L’appello intendeva invitare a un po’ di misura e di comprensione per il sacrosanto riposo, non certo alla fannullaggine, né tanto meno all’odio. La ringrazio dell’attenzione. (P.DS.)